Venerdì 3 Maggio 2024

Stipendi, al Sud valgono il 30% in più che al Nord

Un assegno di 1.300 euro, a Milano vale il 32% in meno che a Ragusa

Operai in fabbrica

Operai in fabbrica

Roma, 7 agosto 2016 - Un insegnante di scuola elementare con uno stipendio di circa 1.300 euro mensili, se lavora a Milano, guadagna, in termini di salario reale, il 32 per cento in meno di un suo collega che vive a Ragusa. Affinché i 1.300 euro abbiano lo stesso valore per entrambi, l’insegnante milanese dovrebbe avere una retribuzione nominale più alta del 48 per cento. È solo uno degli esempi (reali) possibili, contenuti nella ricerca «Divari territoriali e contrattazione: quando l’eguale diventa diseguale», curata dai tre economisti Andrea Ichino, Tito Boeri ed Enrico Moretti. Una ricerca, presentata al Festival dell’Economia, che punta a dimostrare una verità empirica da molti avvertita nelle proprie tasche: che, in presenza di un livello di produttività e di costo della vita diversi, l’uguaglianza del salario nominale tra Nord e Sud produce una grande disuguaglianza sostanziale nel potere d’acquisto dei lavoratori. Con la conseguenza che, per porvi rimedio, è sempre più urgente passare dalla contrattazione nazionale a quella aziendale o territoriale.

LA TESI dei tre studiosi la riassume Ichino, economista all’Istituto universitario europeo di Firenze: «La produttività del lavoro è più alta al Nord che al Sud ma il contratto nazionale fa sì che i salari nominali siano uniformi in tutto il Paese». Ora, poiché questo rende più conveniente produrre al Nord, si ha una concentrazione delle attività produttive in quella parte del Paese. Con una serie di effetti concatenati: il Sud ha più alti tassi di disoccupazione rispetto al Nord, ma ha prezzi delle case minori e dunque un costo della vita più basso. E così, se si paga lo stesso stipendio a un lavoratore al Nord e al Sud, in presenza di costi della vita diversi, il salario reale al Nord è molto più basso del salario reale al Sud. Con l’ulteriore corollario dello stop anche alla mobilità territoriale da un’area all’altra.

«Il punto fondamentale del nostro contributo – ha spiegato il professore – è che per ottenere il ‘bene fittizio’ dell’uguaglianza nominale dei salari, il sistema italiano crea iniquità reali molto gravi di cui nessuno ha il coraggio di parlare». Ma quali sono, in concreto, le differenze tra salario nominale e reale tra le diverse aree del Paese? Il salario nominale medio tra le province italiane varia tra 7,5 euro e 9,5 euro l’ora: una variazione di 2 euro, molto contenuta. La variazione reale è molto più ampia: un lavoratore del Nord guadagna in media il 12 per cento in meno rispetto a uno del Sud.

QUESTO succede perché il costo della vita – misurato dall’indice dei prezzi e soprattutto dal prezzo delle case – è più elevato al Nord che al Sud: il prezzo degli immobili al Nord è mediamente superiore del 36 per cento rispetto al Sud, mentre l’indice generale dei prezzi è più alto del 16 per cento. Oltre a quello dell’insegnante, Ichino cita l’esempio di un impiegato di banca con 5 anni di anzianità. Ebbene, se lavora a Milano il suo stipendio nominale è più alto del 7,5 per cento di quello del collega che opera a Ragusa. Ma in termini reali, il bancario milanese è «sotto» del 27,3 per cento rispetto al bancario ragusano.

PER essere alla pari in termini di potere d’acquisto, l’impiegato milanese dovrebbe avere una retribuzione nominale più elevata del 37 per cento. «Ad avvantaggiarsi della situazione – spiega Ichino – sono gli occupati del Sud e i proprietari di case del Nord, che «ricevono un regalo a danno di tutti gli altri». Per riequilibrare le disuguaglianze, invece, la via è quella di adeguare i salari alla produttività attraverso accordi sindacali aziendali no locali, abbandonando i vincoli del contratto nazionale uniforme. Il risultato ulteriore sarebbe anche un aumento dell’occupazione al Sud con la riduzione del lavoro nero.

 

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