Mercoledì 24 Aprile 2024

Strapagati e incontentabili, operai tedeschi in sciopero. "Vogliamo lavorare 28 ore"

Minacciano di bloccare la locomotiva della Ue

Operai tedeschi in sciopero (Afp)

Operai tedeschi in sciopero (Afp)

Berlino, 9 gennaio 2018 - A oltre cento giorni dal voto (24 settembre), la Germania non ha ancora un governo. Non era mai accaduto. E se falliranno le trattative per una nuova Grosse Koalition , si sarà costretti a tornare alle urne. In questa situazione di instabilità che inquieta i tedeschi, scendono in campo i metallurgici. Ieri si è avuto il primo warnstreik , uno sciopero d’avvertimento, il preludio a uno sciopero generale. Ieri hanno incrociato le braccia in 120mila, un domani potrebbero essere oltre due milioni, in grado di paralizzare anche il cuore dell’industria nazionale, le case automobilistiche.

Nel Paese in pieno boom, mai tanti occupati, mai così pochi disoccupati da quando è caduto il muro, di che cosa si lamentano i metallurgici? Vogliono un aumento del 6% (e hanno già salari tra i più alti d’Europa) e avanzano una richiesta sorprendente: la settimana (volontaria) di 28 ore, contro le attuali 35, e un orario flessibile, magari lavorando a turno quattro giorni alla settimana.

«Meno lavoro per me, più lavoro per tutti», è lo slogan dell’Ig Metall, il sindacato più forte al mondo con due milioni e 270mila iscritti, che diventano 3 milioni e 700mila contando anche quelli dell’elettronica, da sempre uniti ai compagni metalmeccanici. La settimana di 28 ore dovrebbe venire concessa per un periodo di prova di due anni, per poi venire approvata definitivamente.

In passato l’Ig Metall era ancora più forte con oltre quattro milioni di iscritti. Da sempre vicino al partito socialdemocratico, ha condotto storiche e vittoriose battaglie a cominciare dalla Mitbestimmung , la cogestione delle imprese, che è stata il segreto del miracolo economico nel dopoguerra. Ma, allora, il sindacato trattava per il bene dell’azienda, rinunciando a aumenti salariali, straordinari e riduzione di orario, rimandando le rivendicazioni a tempi più propizi. È avvenuto anche negli Anni Novanta quando, per evitare licenziamenti, alla Volkswagen il sindacato propose la settimana di 28 ore, ma con taglio del salario.

Ma oggi? Più lavoro per tutti? Le imprese hanno già difficoltà a trovare operai specializzati per far fronte alle commesse che giungono soprattutto dall’estero. Era un’illusione poter impiegare i profughi: per lavorare a una catena di montaggio bisogna conoscere l’inglese e saper usare un computer. Aumenti salariali? Un operaio alla Volkswagen guadagna dopo tre anni 3.540 euro lordi, senza straordinari e incentivi. E la gratifica di fine anno (non esiste la tredicesima) è andata dai 7mila ai 10mila euro. Un metalmeccanico guadagna in media più di molti laureati, dei professori di liceo e di un ingegnere in un’azienda edilizia (3.500 euro sempre lordi, senza alcun benefit ). Ogni punto d’aumento percentuale costerebbe alle imprese due miliardi di euro all’anno. Sopportabili data l’ottima congiuntura, commentano i sindacalisti (il capo dell’Ig Metall Jörg Hoffman guadagna 260mila euro all’anno).

La Bundesbank nella sua analisi per il 2018, sempre grazie ai dati positivi, prevede un aumento generale per tutti i dipendenti in ogni settore non oltre il 3,5 per cento. Le imprese sarebbero favorevoli ad applicare con meno regole un orario flessibile, con punte fino a 40 ore. Molti metalmeccanici non sarebbero contrari a straordinari ben pagati o a ore da utilizzare per ferie più lunghe. Proclamare uno sciopero richiede una procedura complessa, deve essere approvato dai due terzi degli iscritti. Fino a che punto la base è disposta a seguire la dichiarazione di guerra dei sindacalisti?

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