Amazon, il successo nasce dal caos: viaggio nel super magazzino italiano

Il record toccato a metà luglio nel polo di Piacenza. Sta per nascere il nuovo centro Amazon a Roma. L’ad Rajjal: «Il disordine è il sistema migliore per trovare le cose senza fare errori».

Amazon (Ansa)

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SE UN TRUCCO c’è, giura Tarek Rajjal, ad di Amazon Italia Logistica, è il disordine. Sta tutta lì per l’ingegnere – giordano d’origine, torinese d’adozione, un passato alla Iveco –, la forza del colosso dell’e-commerce, nato a Seattle nel 1994 e sbarcato in Italia nel 2010. Il disordine, ovvio, è matematico. «Seguendo i principi dell’algoritmo di Gauss – rivela Rajjal , il nostro software fornisce sempre il percorso più breve». La pistola che legge i codici a barre una volta preso in carico un ordine funge da navigatore, per guidare nel minor tempo possibile l’operatore fino al prodotto. Nel frattempo il magazzino di Castel San Giovanni, Piacenza, inaugurato nel 2011 su 26mila metri quadrati, è già cresciuto per cinque volte. Centomila metri quadrati di pacchi e nastri trasportatori per mille dipendenti.  Da un lato c’è l’inbound, la presa in carico delle merci. Dall’altro l’outbound, le spedizioni. In mezzo c’è la grande prateria del magazzino, divisa in tre. Nella più vicina ai nastri ci sono i prodotti più venduti. Nell’area Slow sosta la merce meno richiesta. Le cose che nessuno compra per mesi stanno nella Deadwood, la palude del legno morto. Ogni ‘regione’ ha le sue città: isole di scaffali raggruppati sotto lo stesso codice. Poi ci sono le strade – le scansie – e ogni pezzo ha il suo numero civico.  Nella stessa ‘casa’ possono convivere senza problemi una macchina fotografica, un paio di pantofole o un libro di ricette. Ma non sarebbe meglio mettere in un posto unico tutte le macchine fotografiche? Rajjal ride: «Quante probabilità ci sono che uno stesso cliente ordini due modelli diversi di macchine fotografiche? Pochissime. E quante probabilità ci sono invece che, tra due prodotti simili, l’operatore afferri quello sbagliato? Se di fianco, invece alla macchina fotografica di un’altra marca, c’è un paio di pantofole, di sicuro non sbaglierà». 

È FREDDA aritmetica ma, al centro, si inorgoglisce Rajjal, ha le persone. E racconta un mondo in cui ognuno dei mille dipendenti (solo 5 anni fa erano 150) può cambiare la musica in filodiffusione e come ci siano eventi di condivisione («Fosse arrivato tre settimane fa, quando ancora il tempo lo permetteva, ci avrebbe trovati fuori a grigliare») e quanto siano frequenti gli incontri per discutere dei problemi e proporre soluzioni. «Vede queste scatole? È stato un addetto francese a proporle. Ha spiegato che prendere i prodotti più in basso è scomodo, sarebbe stato meglio usare delle scatole. L’idea è stata testata, ha funzionato, e ora è prassi».  CIÒ in risposta ai video che circolano in Rete sulle fatiche di lavorare in Amazon. I dipendenti nella visione di Rajjal sono «il primo dei tre pilastri su cui si regge l’impresa: solo se stanno bene, possono essere creativi, il sistema funzionerà». Il secondo pilastro sono i clienti, «che sul nostro sito possono cercare un prodotto e sentirsi dire che da un’altra parte costa meno. Una follia quando Jeff Bezos, il fondatore, la propose la prima volta. E invece l’onestà paga». Lo dimostrano i numeri: 280mila dipendenti nel mondo, 35,7 miliardi di dollari nel 2016 e una crescita globale del +700% nel 2005. 

IL TERZO pilastro? «L’innovazione». Quella che «ci porta a migliorare continuamente le cose. Sa come si consegna più in fretta degli altri? – teorizza Rajjal –. O si corre come dei matti, rendendo un posto del genere un incubo per chi ci lavora. Oppure si rivoluziona il processo». Magari guardando dove gli altri non avevano guardato. Per dire: Amazon non fa l’inventario. Gli addetti inbound spacchettano i pacchi e scansionano i prodotti uno a uno o in gruppi di prodotti uguali, come farebbe la cassiera di un supermercato. Niente controlli incrociati con le bolle di consegna. «A noi, più che verificare la correttezza di un ordine, preme che quel prodotto arrivi più in fretta allo scaffale e poi dal cliente». Quanto in fretta non è dato saperlo: i dati sui flussi di prodotto fanno parte del segreto industriale. Ma il giorno di picco, quello sì, ogni anno viene celebrato: «460mila prodotti venduti in un solo giorno nel 2014, 650mila nel 2015, 750mila lo scorso 12 luglio». Nel frattempo a Passo Corese, 30 chilometri da Roma, sta nascendo un clone più piccolo del magazzino di Piacenza. «Ne arriveranno altri» promette Rajjal, e con loro altri 1.200 dipendenti nel 2017. Tutti full-time, tutti intercambiabili. Ecco l’ultima rivoluzione: «Ogni dipendente, nello stesso turno può passare dall’inbound al magazzino o all’impacchettamento». Non sarebbe meglio concentrarsi su una cosa? «Ma no – replica l’ingegnere –. Fare gli stessi gesti fa male alle articolazioni. E poi ci si annoia».

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