Giovedì 16 Maggio 2024
ETTORE MARIA COLOMBO
Politica

Marino e le dimissioni, piccolo riepilogo e tre possibili scenari

Una piccola guida per capire cosa potrebbe succedere

Ignazio Marino, giallo sulle dimissioni (Ansa)

Ignazio Marino, giallo sulle dimissioni (Ansa)

Roma, 28 ottobre 2015 - Ma il sindaco di Roma, Ignazio Marino, si dimette davvero o resta in carica? Il busillis continua ad arroventare la politica romana e anche quella nazionale. Oggi il sindaco dimissionario ha tenuto una riunione di giunta che però viene definita solo ‘tecnica’ (si è parlato della pedonalizzazione definitiva dei Fori Imperiali), ma i suoi fedelissimi, o meglio i pochi che gli sono rimasti, come l’assessore al Patrimonio Alessandra Cattoi parlano di un Marino tentato dal ritirare le dimissioni e presentarsi nell’Aula del Campidoglio per affrontare le volontà dell’Assemblea capitolina e lì verificare se ha ancora, o meno, la fiducia della maggioranza dei suoi consiglieri. Per capire cosa potrebbe succedere, dunque, bisogna però fare prima un piccolo passo indietro e riepilogare la vicenda.

Le dimissioni. Il sindaco di Roma ha annunciato le sue dimissioni l’8 ottobre scorso, pressato dal Pd romano e nazionale, dopo la vicenda degli scontrini che oggi lo vede non ancora formalmente indagato ma comunque al centro di un’indagine della Procura di Roma. Il 12 ottobre Marino ha consegnato ufficialmente la lettera delle sue dimissioni. Da allora, per legge, aveva 20 giorni di tempo per ritirarle: la data fatidica, dunque, è il 2 novembre.

Le manifestazioni di solidarietà. Nel frattempo si sono tenute due manifestazioni di solidarietà, l’11 e il 25 ottobre scorso, entrambe nella piazza del Campidoglio, organizzate dagli ‘amici’ di Marino e da pezzi del Pd e, soprattutto, dei consiglieri e inventori della lista Marino. Il tam-tam su Facebook e su altri social network è stato molto forte, ma in piazza sono scese, al fianco del sindaco, poche centinaia di persone, presente il sindaco.

2 novembre, la data fatidica. Se il sindaco conferma le sue dimissioni, scatta la procedura prevista dalla legge: nomina del commissario straordinario che dovrà portare la città alle elezioni da parte del Governo e, direttamente, dal prefetto di Roma, Franco Gabrielli. Se invece Marino decidesse di ritirare le proprie dimissioni, si aprono tre scenari possibili.

I scenario. Dimissioni in massa dei consiglieri. E’ la via preferita dal Pd, sia nazionale che romano. Solo che il Pd conta, in consiglio comunale, su 19 consiglieri, non tutti sembrano intenzionati a dimettersi, nonostante le pressanti richieste in questo senso avanzate dal commissario straordinario del partito, Matteo Orfini, e per ottenere che il consiglio comunale decada i consiglieri dimissionari devono essere, per legge, 25 (metà + 1). SeL non ha intenzione di far dimettere i suoi cinque consiglieri, tanto meno vogliono dimettersi gli esponenti della lista Marino e alcuni consiglieri del Pd, che però potrebbe contare sul sostegno dei consiglieri della lista Marchini (3) e di altre liste minori (2). Le dimissioni in blocco sarebbero, dunque, sul filo del rasoio dei voti e potrebbero trasformarsi in un boomerang per il Pd e in un successo per Marino. A meno che il Pd non accettasse di convogliare le dimissioni dei suoi consiglieri con quelli di altri gruppi: in questo caso, il numero dei dimissionari salirebbe a 30.

II scenario. Mozione di sfiducia contro Marino. Per presentare una mozione di sfiducia al sindaco servono 18 voti (e, dunque, basterebbero quelli del Pd), ma affinché passi di voti ne servono sempre 25. In questo caso i numeri ci sarebbero: sulla carta, considerando la mozione di sfiducia presentata dai 5 Stelle e la voglia di mozione di sfiducia delle destre, sarebbero ben 38 su 48 i consiglieri pronti a convogliare su una delle tante mozioni di sfiducia che verrebbero presentate, ma il Pd non vuole ‘confondere’ i suoi voti, in una mozione di sfiducia, con quelli delle destre. Quindi, per ora, questa per il Pd è l’extrema ratio. Comunque i tempi si allungherebbero di un po’, però, visto che per presentare e calendarizzare una mozione di sfiducia la presidenza del Consiglio comunale ha venti giorni di tempo (al massimo) e che, a oggi, è stata presentata solo quella di M5S.

III scenario. Marino resta in sella fino al voto sul bilancio. E’ lo scenario più traumatico per tutti, specie per il Pd. Se non si trovassero 25 consiglieri pronti a dimettersi o a votargli la sfiducia, con una giunta azzoppata se non di più (solo tre assessori vogliono continuare a lavorare, i fedelissimi Cattoi, Caudo, Estella Marino), Marino continuerebbe ad andare avanti con la (paradossale) ordinaria amministrazione, ma si troverebbe presto, davanti a sé, uno scoglio insormontabile: il voto di fine anno sul bilancio del Comune. Sicuramente in quel voto finirebbe ‘sotto’, tra voti contrari del Pd e delle opposizioni, e a quel punto il Comune verrebbe sciolto automaticamente dal Governo, sempre tramite Prefetto, ma Roma avrebbe perso altri tre mesi decisivi