Mercoledì 8 Maggio 2024

Isis a Barcellona, "Sono cani sciolti. Al Califfato restano solo loro"

L'intervista al professore Massimo Campanini, docente di Studi islamici all'università di Trento

Barcellona, feriti dopo l'attacco (Ansa)

Barcellona, feriti dopo l'attacco (Ansa)

Roma, 18 agosto 2017 - Professor Massimo Campanini, docente di Studi islamici all’università di Trento, l’Isis ha rivendicato l’attentato di Barcellona: anche stavolta abbiamo il colpevole?

«Oggi come oggi, specie dopo le sconfitte di Mosul e di Raqqa, parlare del Califfato significa agitare un fantasma che non esiste praticamente più. La strage non può essere e non è l’esito di un piano preordinato. Non lo erano gli attacchi di Nizza e di Berlino, anche se poi vi è sempre qualcuno che ci specula sopra, sventolando la bandiera nera e attribuendosi la carneficina».

E allora di chi sono le mani sporche di sangue?

«Qui siamo di fronte a cani sciolti, a dei pazzi, che, imbevuti dell’ideologia islamista, fanno attentati in giro per il mondo senza che ci sia alcuna strategia alle loro spalle».

Isis o meno, il giornale spagnolo El Periodico rivela come la Cia avesse avvisato due mesi fa le autorità iberiche su possibili attacchi sulle Ramblas: anche stavolta i comuni cittadini pagano la scarsa collaborazione fra i servizi segreti dei diversi Paesi?

«Controllare tutto e tutti è impossibile. Io abito a Milano, arrivare in piazza Duomo con un pulmino e centrare i pedoni come se fossero dei birilli è difficile, ma fare la stessa cosa in corso Buenos Aires non è poi così complicato. Con ciò voglio dire che bisogna essere prudenti prima di lamentare un’eventuale sottovalutazione delle informazioni da parte dell’intelligence».

Tutti ‘assolti’, dunque?

«È chiaro che i servizi e le forze di polizia possono tenere d’occhio i soggetti schedati come possibili terroristi, tuttavia non ci si può illudere... Prevenire al cento per cento questo tipo di attacchi non è possibile».

Stando al suo ragionamento, sarebbe meglio avere a che fare con una vera e propria centrale operativa del terrore.

«Senza dubbio, ma la realtà non è questa. Quello che tuttavia possiamo e dobbiamo fare è iniziare a smitizzare il terrorismo».

Che cosa intende dire?

«Questo non rappresenta una strategia, è uno strumento. Ricorre agli attentati chi non ha disposizione altri mezzi per vincere una battaglia, un po’ come facevano i carbonari durante il Risorgimento. Non si comportava così Garibaldi che poteva contare su un esercito vero e proprio. Questo ragionamento allora ci induce a considerare il terrorismo non come dimostrazione di forza quanto piuttosto di debolezza».

L’effetto diffuso sulla popolazione è comunque paralizzante.

«Io non sto parlando di tranquillità della gente. I terroristi vogliono spaventare e per questo colpiscono in luoghi noti e affollati come le Ramblas di Barcellona, il cuore del divertimento in Europa. La questione è un’altra».

Ovvero?

«La smitizzazione del terrorismo dovrebbe farci sentire psicologicamente sicuri nella misura in cui di fatto non è uno strumento in grado di minare la stabilità dei Paesi o la stessa sicurezza del pianeta».