Giovedì 2 Maggio 2024

Chernobyl, cosa successe quella notte del 1986

Il test pericoloso, l'esplosione, i ritardi e i silenzi di Mosca. La catena di eventi che 30 anni fa ha portato al peggior disastro nucleare della storia

Chernobyl, cimitero nel vicino villaggio di Babchin (Olycom)

Chernobyl, cimitero nel vicino villaggio di Babchin (Olycom)

Roma, 26 aprile 2016 - Rischi sottovalutati e una scellerata gestione dell'emergenza sono alla base della catena di eventi che il 26 aprile del 1986 ha portato al disastro di Chernobyl, il più grave nella storia delle centrali nucleari. Capire cosa sia successo esattamente quella notte di 30 anni fa non è facile. Molte fra le persone presenti allora sono morte e la segretezza imposta all'epoca dal regime sovietico ostacola anche oggi ogni tentativo di ricostruzione. 

COSA ACCADDE - La causa di tutto fu un'esplosione accorsa durante un test che avrebbe dovuto valutare se il reattore fosse capace di alimentarsi solo con la sua stessa energia in caso di black out. Un accertamento molto pericoloso che doveva avvenire con i sistemi automatici di sicurezza disattivati, inclusi quelli di raffredamento d'emergenza.

Il reattore era un sovietico Rbmk di derivazione militare. Quella sera aveva solo sei barre di grafite su oltre 200 inserite a frenare la reazione: le altre erano state sollevate per una serie di errate valutazioni. Gli operatori avevano progressivamente ridotto la potenza del reattore rendendolo così instabile, quando rialzandola pensarono di averla riportata a livelli sufficienti procedettero con il test, ma una riduzione del refrigerante e un afflusso di acqua bollente causarono un'impennata della reattività, e le altre barre fatte subito calare non scesero abbastanza: deformate dal calore non scivolavano più negli alloggiamenti. Fu l'inizio del disastro. 

Il reattore arrivò a 120 volte la sua potenza massima, il combustibile si frammentò, il nocciolo si fuse, la grafite delle barre di contenimento si incendiò, l'acqua si vaporizzò e si verificò una violenta esplosione che lanciò in aria una piastra pesante mille tonnellate. Dopo due o tre secondi una seconda esplosione e un turbine di aria rovente si alzò per centinaia di metri nel cielo. Si scatenò un'incendio, durato 10 giorni che diffuse nell'aria un'enorme quantità di materiale radioattivo, soprattutto iodio (I) e cesio (Cs). 

Gran parte dell'Europa fu interessata dal rilascio delle sostanze. Il 27 aprile in Svezia fu rilevata un'impennata di radioattività, in breve fu data l'allerta mentre Mosca continuò a negare tutto per tre giorni.

LE RESPONSABILITA' - Al momento dell'incidente, nella sala di controllo della centrale c'era Anatoly Dyatlov, vice ingegnere capo della centrale. Secondo alcune fonti fu lui a ordinare di procedere con il test di sicurezza, programmato benché fosse assai rischioso. Uscito dal carcere 5 anni dopo (l'Urss era caduta da poco), Dylatov smentì accusando i Soviet di una montatura. 

Dopo l'esplosione, il tasto  AZ-5 per l'arresto di emergenza, fu premuto troppo tardi. Perché? Pare che il responsabile del turno di notte, Alexander Akimov, avesse mandato due tecnici a controllare cosa fosse successo. I due sarebbero tornati indietro con la faccia bruciata dalle radiazioni raccontando che il reattore era distrutto. Akimov non credette alle loro parole: se ne andarono via ore preziose. 

Dyatlov spiegò d'aver lasciato la sala di controllo della centrale solo alle 4 per avvertire Viktor Bryukhanov, direttore dell'impianto, che a sua volta mentì agli apparatchik di Mosca sulle condizioni del reattore. Si persero altre quattro ore. Akimov morì due settimane dopo avvelenato dalle radiazioni assorbite, Dyatlov fu stroncato da un infarto nel 1995. 

LE CONSEGUENZE - La quantità maggiore di materiale radioattivo ricadde su vaste aree dell'Unione Sovietica (oggi Bielorussia, Federazione Russa e Ucraina) in cui vivevano 5 milioni di persone. Di queste, circa 400.000 vivevano in aree maggiormente contaminate: 116.000 persone furono evacuate tra la primavera e l'estate del 1986 dall'area circondante il reattore (la zona di esclusione) e trasportate in zone non contaminate. Altre 220.000 persone furono spostate negli anni successivi. A trent'anni dal disastro si fa ancora fatica a fare la stima delle vittime: tutta colpa di un follow up sanitario "interrotto nel 2005 per mancanza di fondi". L'Organizzazione mondiale della sanità parla di 9 mila morti, altri rapporti bielorussi dicono 115mila. Ancora oggi il Cesio è riscontrabile sul suolo e in alcuni cibi di gran parte d'Europa. Specialmente latte, funghi, mirtilli e grano.