Martedì 30 Aprile 2024

Dell’Aquila e l’oro che viene da Bruce Lee

Il 20enne pugliese ci regala il primo trionfo grazie al taekwondo: il padre lo portò in palestra per imitare il suo mito e togliergli la timidezza

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Dall’inviato Leo Turrini

Tokyo (Giappone)

È sempre l’estate dei piedi azzurri. Certo le estremità inferiori di Vito Dell’Aquila non saranno mai pagate e pregiate come quelle di Chiesa, di Barella, di Insigne e di Bonucci, però sono i piedi dorati di una medaglia gialla luccicante, la prima della spedizione italiana in questa convulsa e angosciante Olimpiade.

Splendida avventura, degna di un magnifico ragazzo del Sud. Vent’anni come nella canzone di Massimo Ranieri, il sorriso che sa farsi anche broncio se è il caso, in Vito, eroe del taekwondo, pare di scorgere l’inquietudine di una generazione intera. Hanno talento i nostri giovani e hanno anche coraggio: solo, dovremmo, noi anziani, evitare di lasciarli soli di fronte alle difficoltà.

IL TAEKWONDO è un’arte marziale che si pratica con i piedi. Ma richiede tanto, tanto cervello. Vito Dell’Aquila è un Millennial sveglio: tira calci sin da quando era un bambino, già ad otto anni lo portarono a gareggiare in Austria.

È cresciuto nel culto e nel mito di un conterraneo illustre: Carlo Molfetta, anche lui di Mesagne, pezzo di Puglia che non molla, vinse l’oro nello stesso sport ai Giochi di Londra del 2012. Dinastia territoriale, ecco.

Tu chiamala, se vuoi, suggestione.

Vito ha guardato, ha imparato, non ha smesso di studiare la materia (prendendo comunque la maturità scientifica, eh). È diventato Carabiniere, l’Arma lo aiuta a fare sport. Già nel 2017 era sul podio ai mondiali, ha vinto un Europeo, è salito di categoria fino ai 58 chili.

E infine, scalciando via i cattivi pensieri, ha preso l’aereo per Tokyo.

LA GARA. Aveva un appuntamento con la Storia, Vito il Millennial. Forse si è ricordato di una leggenda metropolitana, quella secondo la quale il padre lo portò in palestra perché adorava, il genitore, i film di Bruce Lee e voleva togliere al figlio un velo di timidezza.

E chi lo sa. Io stavo in questa sala vuota, la Makuhari Messe Hall. Stavo lì e ho visto Dell’Aquila prendere a calci un avversario dopo l’altro. Un ungherese. Un thailandese. Un argentino. Fino alla finale, ancora su tre round, contro il sorprendente tunisino Jenboudi.

Ora, io non starò qui a dire che un match di taekwondo è eccitante come una partita di calcio, per carità. Ma l’emozione è la stessa e figuriamoci quando c’è di mezzo un italiano che deve rimontare. Do you remember?...

VITO ERA andato sotto e non di poco. Il tunisino aveva accumulato vantaggio ma te l’ho detto all’inizio, amico lettore. Questa è l’estate dei piedi azzurri. Nel minuto conclusivo, mentre sugli spalti deserti il presidente del CONI Malagò tratteneva il fiato, in quel minuto lì, dicevo, il Giovane Principe del taekwondo ha improvvisato una danza che ha cambiato il senso della vita sua, lasciando un piccolo segno di gioia anche nelle nostre.

Grazie, figliolo.