
Il professor Pievani avverte: il riscaldamento globale è in aumento e le conseguenze saranno devastanti. È urgente agire per evitare catastrofi ambientali e sociali future.
Il tempo è (quasi) scaduto. "Purtroppo, come era stato ampiamente previsto, la temperatura media globale è già cresciuta di 1,2° rispetto al periodo preindustriale, e velocemente si avvia a toccare un grado e mezzo di aumento intorno al 2030, e forse anche prima. Sono meno di sei anni da oggi: i ragazzi che quest’anno si sono iscritti al liceo faranno la maturità...", fa notare il professor Telmo Pievani, fra i più accreditati filosofi della scienza, docente all’Università di Padova e oggi visiting scientist all’American Museum of Natural History di New York.
Professor Pievani, cosa significa un pianeta più caldo?
"C’è molta più energia in circolo. Per fare un esempio, il Mediterraneo, che è un mare chiuso in una zona di transizione climatica, oggi è più caldo rispetto a un tempo, quindi contiene molta più energia: quando arrivano le perturbazioni fredde da nord, dall’Atlantico o dalla Siberia, l’incontro drammatico fra queste masse d’aria determina piogge alluvionali tremende, e alcuni territori (come purtroppo abbiamo visto anche in Romagna) sono molto esposti. Questi fenomeni, temo, si ripeteranno sempre più di frequente. E se non si agisce in fretta, dal 2030 il riscaldamento globale continuerà a crescere, per arrivare velocemente verso i due gradi".
Nel suo "Viaggio nell’Italia dell’Antropocene", insieme al geografo Mauro Varotto, lei ha immaginato un’Italia sommersa dalle acque attorno al 2786, mille anni dopo il Grand Tour di Goethe. Fantascienza?
"Quello è uno scenario quasi parossistico, l’idea di un’Italia travolta da un mare più alto di 65 metri. Ma non è pura fantasia. L’inizio di quel processo è proprio ora, adesso: sono le alluvioni in Romagna, è il cuneo salino che entra verso i territori all’interno, è Venezia sempre più in pericolo. L’Istituto veneto di Scienze Lettere e Arti ha lanciato un concorso di idee: dato per scontato che da qui al 2080 l’Adriatico sarà più alto di un metro, come fare per salvare la laguna?".
Occorre dunque una transizione ecologica...
"E anche urgente e veloce. Purtroppo diversi governi propendono per una transizione lenta e debole, e chi vuole essere più incisivo ne paga le conseguenze in termini di consensi politici, come si è visto con i Verdi in Germania. Ma più la transizione sarà lenta, più la pagheranno i nostri figli e i nostri nipoti, e non è giusto".
Già: chi paga il conto del climate change?
"Lo pagheranno soprattutto i Paesi più poveri del mondo, quelli della fascia tropicale ed equatoriale: ci saranno milioni di persone che dovranno lasciare la loro terra, con conflitti per le risorse e instabilità politica. Le Nazioni Unite calcolano almeno 200 milioni di potenziali migranti ambientali. Negli Stati Uniti oggi le Agenzie governative mettono proprio il cambiamento climatico al primo posto fra le minacce più serie per la sicurezza. Pagheranno il conto le generazioni future a cui noi consegneremo il mondo e, all’interno dei Paesi più ricchi, lo pagheranno le persone più povere, quelle che forzatamente dovranno lasciare le loro dimore per spostarsi in altri territori".
‘Migrazioni’ anche all’interno di un Paese?
"Certo: finora ne abbiamo parlato per grandi nazioni come la Cina, ma dovremo fare i conti con questo tipo di fenomeni anche in Italia,e non solo da nord a sud. È quello che viene chiamato il ‘displacement’ interno: è un dramma e una grandissima sofferenza per chi, magari, abita una casa da generazioni, ma purtroppo temo che sarà una realtà da affrontare. Trovo opportuno il Fondo sociale per il clima che sta creando l’Unione Europea, così che la transizione ecologica non ricada sulle spalle dei più poveri, in una forma di giustizia sociale".
E noi, nel nostro piccolo, cosa possiamo fare?
"Innanzitutto possiamo spingere gli amministratori locali a tutelare di più il territorio e a ridurre il consumo di suolo. Quando facciamo la spesa, possiamo scegliere i prodotti giusti, quelli che incidono meno sull’ambiente, anche non sono state ancora adottate le etichette ambientali che esistono già in altri Paesi. E poi, soprattutto, possiamo ridurre i consumi e lo spreco di energia e di cibo che ogni anno ‘bruciano’ quantità incredibili di risorse: non ce lo possiamo più permettere".