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Un giro d’Italia col cibo di strada

Dalle miasse (Piemonte) agli arancini (Sicilia): ogni regione ha una specialità deliziosa e facile da gustare

15/10/2023 - di Gloria Ciabattoni

La storia del cibo da strada, o street food, si perde nella notte dei tempi; si consumava già nell’antica Grecia e nell’antica Roma. Nato come sostentamento dei ceti meno abbienti, che non avevano una cucina dove preparare il cibo, pur con tanti cambiamenti ha superato il passare dei secoli, tanto che oggi stime della FAO riportano che ben 2,5 miliardi di persone al giorno scelgono questa alimentazione. Un po’ c’entra anche la moda, infatti sagre e fiere di street food sono sempre affollate, soprattutto quando propongono specialità regionali, o locali, che non vengono servite nei ristoranti, quindi altrimenti introvabile.

 

In Italia, la varietà gastronomica che ci caratterizza si riflette anche nello street food. In Piemonte troviamo le miasse, una sorta di sottili focacce cotte su piastre roventi e ripiene di formaggi e salumi, introdotte dalla comunità Walser tra Valsesia e Canavese; in Lombardia abbiamo i mondeghili, polpette fatte con carne avanzata; in Liguria si mangiano la pinassa (con farina di ceci) e la focaccia di Recco, farcita con stracchino o crescenza; a Venezia già nel Seicento si vendeva lo «scartosso di pesce fritto» nei fritolini, gli appositi localini dove il pescato del giorno veniva servito in cartocci di carta. In Romagna la piada o piadina è regina: la romagnola è più piccola e spessa, la riminese più grande e sottile, un classico è gustarla con formaggio squacquerone e rucola. Focaccine piatte non lievitate e cotte in appositi dischi, le tigelle (c’è chi le chiama anche crescentine) sono tipiche del modenese, si mangiano coi salumi ma anche con il «pesto» un battuto di lardo, aglio, rosmarino e formaggio grattugiato. In tutta l’Emilia è tipico poi lo gnocco fritto (a Bologna si chiama crescentina, a Parma torta fritta), da abbinare ai salumi. E a Bologna per uno spuntino tradizionale e sostanzioso ci si rivolge alla crescente, una focaccia morbida che viene abbondantemente farcita di mortadella.

 

Si passa l’Appennino e si arriva a Firenze, a cercare un’istituzione, il trippaio che vende il panino (imbevuto nel brodo) con trippa o lampredotto. Squisitezze da strada sono anche i necci o ciacci, una sorta di crespelle di farina di castagne farcite di ricotta. Sulla costa toscana con la pasta di pane fritta si fanno le «donzelle», a volte ripiene con acciughe, e a volte dette «topi». Porchetta e olive all’ascolana (denocciolate, ripiene di carne e fritte) sono classici street food marchigiani. Poi troviamo, anche nella vicina Umbria, la crescia, parente della piadina, un disco di pasta che viene fatto cuocere sulla griglia e servita con salumi o erbe di campo saltate in padella. Una variante è la sfogliata d’Urbino. Un panino con la porchetta non può mancare in una gita ai Castelli Romani, un supplì (crocchetta di riso al pomodoro ripiena di mozzarella) è un classico a Roma.

 

Si scende a sud e… si continua a mangiare per strada. A Napoli stringendo in mano un «cuoppo», un cono di carta paglia con dentro pesce fritto o verdure fritte, insomma ingredienti un tempo poveri perché destinati a chi aveva pochi soldi. Così come lo era la pizza fritta, una sorta di calzone tuffato in olio bollente, che si poteva preparare anche senza avere un forno (un lusso), bastava – e basta – un braciere per friggere. A Bari nel ‘500 nasceva il panzerotto pugliese, ripieno di mozzarella e pomodoro e oggi declinato in molteplici varianti: ripieno con friarelli e salsiccia a Napoli, di dadini di prosciutto nel Lazio. La nduja, il tipico salame piccante spalmabile calabrese, è il protagonista dei panini, ma può entrare anche negli arancini, dei quali c’è anche la versione col pesce spada. Non si può lasciare la Sicilia senza avere assaggiato il pani cu meusa (il panino con la milza) a Palermo, la focaccia messinese (cotta al forno e cosparsa di scarola, pomodoro a pezzi, acciughe, ecc), e i piccoli timballi di riso ripieni di ragù tanto cari a Montalbano: a Palermo sono arancine, a Catania arancini, cambia il nome ma la bontà è la stessa.