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Screening, stile di vita e microbioma: le tre frontiere della prevenzione

I controlli oncologici regolari di provata efficacia sono la mammografia, il pap test e la ricerca del sangue occulto

15/10/2023 - di Maurizio Maria Fossati

Soprattutto in campo oncologico i principali obiettivi della medicina moderna sono la prevenzione e la diagnosi precoce, quindi lo stile di vita e gli screening. Si può fare prevenzione primaria eliminando le cause che notoriamente contribuiscono all’insorgere del cancro, come il fumo di sigaretta, la sedentarietà, l’obesità e un’alimentazione non sana. Sappiamo tutti quanto facciano bene le fibre della verdura in tavola e un po’ di attività sportiva. Ma non dobbiamo neppure trascurare di proteggerci dai fattori cancerogeni dell’ambiente. In ogni caso, mai abbassare la guardia. E con gli screening (prevenzione secondaria) possiamo individuare malattie asintomatiche, ma già presenti in fase iniziale.

 

Secondo gli esperti di IRCCS Humanitas Research Hospital di Milano, gli screening di provata efficacia in ambito oncologico sono: la mammografia per il tumore della mammella, il Pap test per il tumore del collo dell’utero e l’esame delle feci (ricerca di sangue occulto) per il tumore del colon retto. Sempre maggiore attenzione, inoltre, viene oggi attribuita all’equilibrio del microbioma intestinale: l’insieme dei batteri intestinali che difendono l’organismo dai patogeni, contribuiscono alla regolazione dell’assorbimento dei nutrienti, alla produzione di vitamine e di energia e alle difese immunitarie. Il microbioma è oggi al centro di numerosi studi, non ultimi quelli sulla relazione tra alimentazione e tumore, infatti, quello che mettiamo in tavola può influire in modo significativo sulla risposta dell’organismo ai trattamenti antitumorali, compresa l’immunoterapia.

 

In particolare è emerso che una dieta ricca di fibre contribuisce a una maggiore efficacia dell’immunoterapia. E proprio per approfondire quest’aspetto è in programma al San Raffaele di Milano un nuovo trial clinico che prevede la somministrazione di una dieta controllata ricca di fibre nei pazienti con mieloma indolente. «L’immunoterapia ha rivoluzionato la cura di molti tumori – afferma Pier Francesco Ferrucci, direttore dell’Unità di Bioterapia dei Tumori presso l’istituto Europeo di Oncologia –. Tuttavia, non tutti i pazienti rispondono allo stesso modo. Da qui l’ipotesi, che ormai è diventata una certezza, che la composizione del microbioma intestinale di un paziente influenzi il successo del trattamento immunoterapico. In sostanza, i pazienti che ospitano determinati batteri intestinali sembrano rispondere meglio all’immunoterapia rispetto ai pazienti che ne sono privi». Si stima che oltre il 60% delle cellule immunitarie del nostro corpo risieda nell’intestino. Batteri che, quindi, potrebbero essere modificati o trapiantati per influenzare positivamente anche l’esito dei trattamenti contro il cancro.