Regolano il flusso sanguigno in entrata e in uscita: ecco che problemi possono dare e le terapie adatte
Un cuore “stanco” può essere aiutato da un pacemaker. Cos’è? Semplice: un congegno elettronico di controllo (grande quanto una moneta da due euro) che interviene autonomamente inviando impulsi elettrici in caso di rallentamento eccessivo del ritmo cardiaco. Se, infatti, si soffre di bradicardia, cioè il ritmo cardiaco è troppo basso, il sangue (ossigenato) pompato dal cuore diventa insufficiente per soddisfare le necessità dell’organismo. Risultato: spossatezza, vertigini, affanno e svenimenti. Il pacemaker risolve. Solitamente viene impiantato sottopelle nella zona della clavicola ed è collegato con uno o due fili (elettrocateteri) al muscolo cardiaco.
Ma se tutti sanno bene quanto conti la regolarità del battito, non dobbiamo sottovalutare l’importanza dell’efficienza delle valvole cardiache. Schematizzando, possiamo affermare che il cuore è l’equivalente di due pompe in serie: una che spinge il sangue nei polmoni dove viene ossigenato e l’altra che lo manda a tutto l’organismo. Le sue quattro valvole permettono al sangue di scorrere in un’unica direzione. Sì, le valvole cardiache sono a tutti gli effetti delle valvole idrauliche che per funzionare correttamente devono aprirsi e chiudersi completamente, non permettendo al sangue di tornare indietro. Se una valvola non si apre a sufficienza e impedisce al sangue di circolare normalmente, siamo in presenza di “stenosi”. Se la valvola, invece, non si chiude bene, si dice che c’è “insufficienza”.
La stenosi della valvola aortica è causata nella maggior parte dei casi dall’invecchiamento della persona e dalla calcificazione dell’anello valvolare. La riduzione della capacità di apertura di questa valvola porta a un sovraccarico ventricolare che ispessisce il ventricolo stesso, affaticando il cuore. Nei casi più seri si può giungere a un’insufficienza cardiaca con affanno sotto sforzo (dispnea), edemi polmonari o agli arti inferiori e dolori al torace. La sostituzione chirurgica della valvola diventa necessaria quando il restringimento è importante e sintomatico. Anche la valvola mitrale può non aprirsi più a sufficienza e presentare stenosi che, invece, può essere conseguenza di un reumatismo articolare acuto che colpisce soprattutto le donne giovani ed è spesso causato da un’angina batterica (Streptococco emolitico) non curata con antibiotici.
Se la valvola non presenta calcificazioni importanti, viene proposta una valvuloplastica percutanea, eseguita senza aprire il torace, mediante una sonda con palloncino. Con l’insufficienza aortica, invece, il cuore diventa ipertrofico e si dilata progressivamente. Se l’insufficienza è importante, viene raccomandato il trattamento chirurgico con sostituzione della valvola. L’intervento viene effettuato a cuore aperto con l’ausilio di sistemi di circolazione extracorporea. L’insufficienza mitralica, infine, può dipendere da più cause: prolasso della valvola, reumatismo atriale acuto dilatazione dell’anello valvolare, lesione dei pilastri o delle corde che tengono ferme le cuspidi valvolari. Il paziente avverte pochissimi sintomi ma è soggetto a soffio sistolico, tipico della malattia. In ogni caso, quando le stenosi o le insufficienze sono gravi richiedono sempre interventi chirurgici che possono essere riparativi (con l’inserimento di anelli) o completamente sostitutivi.
La scelta della tecnica dipende dallo stato della valvola, dalla causa del suo cattivo funzionamento (infezione o endocardite, malattia cardiaca reumatica, malformazione congenita ecc.) e dalle caratteristiche del paziente (età e patologie associate). Nel caso di intervento chirurgico, la protesi artificiale può essere di due tipi: meccanica o biologica. Le valvole meccaniche sono realizzate in leghe metalliche, carbonio pirolitico, e solitamente hanno anelli di sutura in poliestere. Offrono così il vantaggio di essere molto robuste e, una volta impiantate, di durare per tutta la vita.
La presenza di materiali sintetici, però, rende necessaria l’assunzione quotidiana di una terapia anticoagulante. Le valvole biologiche, invece, sono realizzate con materiale di origine animale (pericardio bovino o di maiale) che non richiede, in generale, una terapia anticoagulante associata. Sono però destinate a degenerarsi nel tempo, come accade per le valvole native. La scelta della valvola più adatta, quindi, dipende fondamentalmente dal paziente: se è giovane, meglio una meccanica, se anziano, una biologica.
L’infarto va battuto sul tempo e la regola d’oro è certamente quella di chiamare subito il 118. “Riparare” in fretta il cuore può spesso salvare la vita. È infatti dimostrato che gli esiti migliori si riscontrano quando si riesce a intervenire entro 90 minuti dall’evento con una riperfusione mediante angioplastica coronarica. In pratica è fondamentale ripristinare il più presto possibile la circolazione del sangue nell’arteria che è stata occlusa dal trombo.
E questo viene fatto con l’impiego di un catetere a palloncino che “spazza” l’interno dell’arteria, e installando uno stent nella zona della strozzatura, cioè una reticella che mantiene l’arteria ben libera. Quindi l’obiettivo più importante è sempre quello di non perdere tempo. Non aspettare l’arrivo di un familiare, non chiedere a qualcuno di essere accompagnati all’ospedale, non cercare un taxi. Se si prova un forte dolore al torace, prolungato, insorto a riposo, come una “morsa” al petto, non bisogna attendere che passi. Chiamare un’ambulanza, con il personale specializzato, è sempre la soluzione migliore.