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Rallentare la demenza nella persona anziana, è possibile? L’esperto risponde

03/06/2022

Aggravate dall’isolamento della pandemia, le demenze sono esplose in questi mesi: vuoti di memoria, ragionamenti incoerenti o campati per aria, trascuratezza nel vestire, incapacità a fare ordine, scarsa igiene, difficoltà a gestire il denaro. Sono tanti i problemi della persona anziana. Figli e nipoti sono spiazzati, spesso impreparati davanti alla perdita progressiva di autonomia di un genitore o di un nonno, quando la psiche perde smalto.

Ma si può rallentare il decadimento cognitivo? 

Quando a settanta ottant’anni e più ti ritrovi con una persona cara che mangia regolarmente, è fisicamente integra, ma inizia a perdere colpi, si perde, soffre di amnesie, cosa si può fare? Esiste una forma neurologica dell’Alzheimer, ma c’è anche un deterioramento mentale legato invece a fattori vascolari, cioè al minore arrivo di sangue ossigenato al cervello e alla sofferenza cerebrale causata dall’aterosclerosi, quindi le cause di una demenza possono essere diverse. Esistono anche patologie neurodegenerative (quindi con disturbi neurologici) diverse da quelle appena citate (ad esempio un Parkinson ingravescente), ma il punto di arrivo è spesso molto simile.

Sono tante le domande che vorremmo porre agli esperti. Uno dei primi interrogativi, istintivamente, riguarda le terapie. Esistono farmaci che sono palliativi. Altri farmaci vengono prescritti dal medico, approvati dal servizio sanitario (donepezil inibitore delle acetilcolinesterasi, memantina cloridrato) ma sembrano più che altro mascherare i sintomi, senza fermare l’evoluzione della malattia. Si è parlato tanto nei mesi scorsi dell’aducanumab, momenti di speranza alternati a delusioni. Si parla tanto di diagnosi precoce, ma oggi come oggi ci accorgiamo sempre tardi, quando le dimenticanze sono evidenti e la persona anziana sembra di colpo quasi irrecuperabile, dal punto di vista intellettuale. Fin qui le nostre considerazioni, ora sentiamo gli esperti.

Cosa possiamo aspettarci dalla medicina, esiste oggi una cura efficace per fermare l’Alzheimer?

“Purtroppo mancano farmaci adeguati – risponde Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione italiana psicogeriatria – ma il progresso è tale che nei prossimi 2-3 anni ci attendiamo una risposta. La ricerca scientifica si sta indirizzando verso la capacità di rallentare la formazione della sostanza beta amiloide nel cervello, che si accompagna a un’azione negativa sui neuroni: le terapie mirano a una riduzione dei sintomi e a un rallentamento dell’evoluzione della malattia. Quello che possiamo fare al momento è proteggere i neuroni con la prevenzione. Prevenzione significa evitare la solitudine, stimolare il sistema cognitivo in vari modi, mantenere un regime alimentare adeguato e corretto, svolgere attività fisica che sia di almeno mille passi al giorno.

Le persone con demenza di Alzheimer o con problemi cerebrali di natura vascolare peggiorano nonostante le sollecitazioni, le tante attenzioni che ricevono. A seconda del tipo di demenza, come possiamo aiutare la persona malata?

“L’Alzheimer è numericamente la principale forma di demenza tra le malattie neurodegenerative in tutto il mondo – risponde Laura De Togni, medico specialista in neurologia, ASL 9 scaligera, Verona – Riveste circa il 60-80% di tutte le demenze di tipo neurodegenerativo. In Italia circa 800mila persone soffrono di Alzheimer. Le cause sono molteplici, non solo la patologia neurodegenerativa: molto conta anche lo stile di vita, tanto che se si attuassero le azioni preventive (eliminazione del fumo, controllo delle malattie croniche, socializzazione, cura della depressione) probabilmente avremmo un 30-40% di patologie neurodegenerative in meno. Su queste concause la ricerca scientifica va avanti: ci sono dei farmaci da 20 anni, ma oggi si guarda avanti.

Su quali cure puntano i ricercatori oggi?

“Si stanno studiando farmaci che agiscano sulla causa, sul processo di accumulo di amiloide. Si tratta – continua la dottoressa De Togni – di anticorpi monoclonali che inibiscono i primi meccanismi patogenetici dei precursori dell’amiloide; agiscono quindi in una fase precoce. Il futuro sarà sviluppare una terapia che sia un cocktail di farmaci per agire sulle diverse cause. I primi anticorpi monoclonali sono già stati approvati negli Stati Uniti, seppur con molte ristrettezze, che sono state accentuate anche di recente (possono essere somministrati solo in pazienti in studi sperimentali, sono farmaci molto costosi senza sovvenzioni). L’EMA per ora ha bloccato l’erogazione di queste terapie, ma si spera che la situazione si possa sbloccare in breve tempo.

L’atrofia di aree cerebrali, il deterioramento causato dalle malattie su base neurologica degenerativa, rende le persone meno sensibili agli ansiolitici, agli psicofarmaci, quindi la persona anziana perde freni inibitori, ha un umore quasi delirante in certi momenti, è più difficile da gestire, si alterano il sonno, il comportamento, l’eloquio, si sviluppano manie di persecuzione. Quali sono i problemi e come li affronta il medico?

“Il panorama delle patologie neurodegenerative è molto ampio, non è solo Alzheimer. Un anziano su 5, su quanti sono ricoverati in ospedale – spiega Giuseppe Bellelli, ordinario di geriatria all’Università Milano Bicocca – va incontro a delirium, che nelle fasi iniziali è caratterizzato solo da torpore, difficoltà di concentrazione, sonnolenza, manifestazioni che si confondono con la demenza di Alzheimer, ma che vanno distinte da questa. Sappiamo che il delirium aumenta di 12 volte il rischio di sviluppare declino cognitivo nel medio termine a parità di età e condizioni morbose. Per tutti questi motivi occorre ragionare sugli interventi legati agli stili di vita nell’invecchiamento, come abbiamo fatto recentemente al congresso dell’Associazione Italiana Psicogeriatria”.