Bologna, 31 maggio 2024 – “Un impegno concreto: meno tasse per tutti". Sembra quasi di rivederli. Era la prima estate del terzo millennio. Nel caldo torrido del luglio 2000, dopo una manciata di mesi da premier e un quinquennio all’opposizione, Silvio Berlusconi avviava la campagna elettorale della rivincita con quasi un anno d’anticipo e un coup de théâtre degno del suo passato da re del marketing. I manifesti sei per tre. I primi che la storia della politica italiana ricordi. Giganteschi: sei metri di larghezza per tre di altezza, appunto, con il faccione del candidato, un logo e uno slogan a caratteri cubitali.

Gli altri lo seguirono e in breve tangenziali, vialoni e facciate dei palazzi divennero una selva di volti e proclami che si sommavano agli spazi previsti per legge e che già coloravano i muri. Spazi posticci, in metallo, suddivisi in rettangoli verticali numerati, disciplinati dalla Prefettura, gestiti dal Comune e assegnati in proporzione a tutti i partiti, con tanto di polemiche sugli sforamenti che diventavano materia da vigile urbano, armato di righello e pallottoliere. In ogni caso: quando gli operai del Comune arrivavano a montare gli appositi spazi per i manifesti, allora poteva dirsi avviata la campagna elettorale.
Oggi i sei per tre quasi non si vedono più e gli spazi elettorali, quelli sì, continuano a essere montati salvo rimanere, ormai da un decennio, tristemente vuoti. Negli uffici comunali le richieste di affissione si sono fatte cosa rara, mentre per strada la lamiera nuda brilla al sole. Niente loghi in schiera, nessun botta e risposta a suon di slogan e colori di sfondo a sottolineare un’appartenenza politica.
Soprattutto: niente faccioni a cui fare i baffi, le corna, il pizzetto o un occhio guercio, un grande must con cui la satira dal basso, lo sberleffo dell’uomo comune, ha misurato per decenni la maggiore o minore popolarità dei candidati.
Cosa rimane oggi di quel mondo? Resistono le vele appese ai lampioni, i ’vestiti’ degli autobus e le pagine sui giornali cartacei. Un evergreen in una campagna elettorale con metodo proporzionale in cui è cruciale ribadire il nome del candidato.
Languono invece i muri, spazi inutilizzati dai più, se non dai writers che li riempiono coi loro tag. O da qualche buontempone. Come ad Avellino, dove a un certo punto sono spuntati i manifesti originali (fotocopiati) degli anni ’70: un "Vota Democrazia Cristiana", con la foto di un giovanissimo Ciriaco De Mita e l’indicazione d’antan "N.1, scrivi De Mita". Qualcuno di sicuro gli avrà fatto i baffi. Le tradizioni sono importanti.