Mercoledì 9 Ottobre 2024
CEDITORIALI
Moda

Il lato oscuro della moda: cinque materiali dannosi per il pianeta

Alcune delle fibre più insospettabili influiscono sullo stato di salute degli ecosistemi mondiali

Coltivaizone di cotone

Coltivaizone di cotone

L'industria della moda è circondata da un fascino innegabile, ma nasconde anche aspetti alquanto inquietanti, dal momento che si classifica tra i peggiori settori in fatto di inquinamento ambientale. Le ripercussioni colpiscono il pianeta intero, coinvolgendo inevitabilmente sia la fauna selvatica che la salute umana. Tra i problemi principali, ci sono le fibre utilizzate per la realizzazione dei tanti abiti messi in mostra nelle vetrine più note. Non stiamo parlando di pelle e pellicce, si tratta di materiali comuni e insospettabili.

Come il cashmere influisce sulla steppa della Mongolia

Dopo la Cina, la Mongolia è il secondo produttore mondiale di cashmere. La continua e crescente domanda del mercato globale, che vuole più cachemire a buon mercato, ha trasformato questo privilegio in una rovina. Le praterie della Mongolia, abitate da pastori e da una fauna selvatica che comprende il leopardo delle nevi, la volpe corsara a la marmotta bobak, sono infatti in pericolo. Già degradata e minacciata dal cambiamento climatico, la steppa ora soffre anche a causa del pascolo eccessivo. Il numero di animali è infatti triplicato rispetto agli anni Novanta, provocando un significativo declino ambientale. Secondo i dati pubblicati nella ricerca “Environmental challenges in Mongolia's dryland pastoral landscape” gran parte del degrado delle praterie è dovuto proprio al pascolo intensivo. La causa? L'elevata richiesta di cashmere a basso prezzo.

Lavare il pile può mettere a rischio la fauna marina

Non è una novità che il livello di plastica e microplastica che contaminano i corsi d'acqua, gli oceani e i mari abbia raggiunto un quantitativo catastrofico per la fauna che li abita. Ciò che non è così noto, è che molte di queste microplastiche si riversano in acqua passando attraverso le nostre lavatrici. Il lavaggio di fibre sintetiche, quali poliestere, nylon e acrilico, attiva un processo di dispersione delle sostanze chimiche in esse contenute o prodotte dall'interazione con determinati detersivi e altri prodotti chimici. Queste microparticelle si disperdono direttamente nelle acque del pianeta influendo in maniera negativa sugli ecosistemi acquatici. Lo studio sull'ingestione di microplastiche da parte di organismi che abitano gli ecosistemi acquatici, pubblicato sulla rivista Nature, ha evidenziato come il problema coinvolga molte specie tra cui granchi, pesci, aragoste, tartarughe, pinguini, foche, lamantini e lontre marine, per citarne alcuni. Oltre a contaminare il cibo che mangiamo, le microplastiche possono seriamente compromettere la vita e lo sviluppo della fauna marina, bloccando il tratto digestivo degli animali e compromettendo la capacità di alimentazione, nei casi più frequenti.

Viscosa e rayon contribuiscono alla deforestazione

Viscosa e rayon, di base, sono fatti di pasta di cellulosa, o pasta di legno sbiancata. Si tratta di materiali ampiamente utilizzati nell'industria della moda e non è una novità. Quello che non tutti sanno è che per realizzare la pasta di lego vengono spesso utilizzati alberi provenienti da foreste antiche o in via d'estinzione. Di conseguenza, gli abiti che indossiamo contribuiscono alla deforestazione e alla distruzione di interi habitat. La situazione non è interamente catastrofica, una scelta oculata e responsabile è spesso possibile e molti grandi marchi utilizzano come risorse le foreste certificate sostenibili, tuttavia il numero di alberi abbattuti per produrre viscosa è in aumento in Indonesia, Canada e Amazzonia. Va da sé che la deforestazione ha un impatto notevole sul cambiamento climatico, nonché sugli habitat delle foreste.

Il cotone e il consumo d'acqua

Se una fibra è naturale non significa che sia sostenibile. Il cotone è infatti diventato una delle colture meno sostenibili del pianeta, proprio a causa delle grandi quantità di acqua che richiede. Inoltre, la produzione di cotone comporta anche un ampio utilizzo di pesticidi e altre sostanze chimiche, che inevitabilmente si riversano nei corsi d'acqua e nel suolo. L'esempio più lampante dell'impatto di questo processo sul pianeta è la desertificazione di gran parte del lago Aral, dovuta anche alle coltivazioni intensive di cotone. Durante la guerra fredda infatti, il regime sovietico decise di deviare due dei principali corsi d'acqua che alimentavano quello che era il secondo bacino per estensione dopo il mar Caspio, con lo scopo di irrigare le nuove coltivazioni di cotone che dovevano diventare il prodotto di punta dell'economia dell'Uzbekistan

La soluzione?

Di base sarebbe necessario intervenire sui processi produttivi. Dal lato del consumatore, è tuttavia possibile adottare qualche accorgimento. Optare per abiti realizzati con materiali sostenibili e tracciabili è una della soluzioni, anche se l'impatto maggiore deriva dal comprare meno e meglio e dalla cura dei capi. Riparare invece di buttare, cercare marchi sostenibili, acquistare prodotti di qualità che durino nel tempo e dare una seconda vita ai vestiti sono buone pratiche da mettere in atto per aiutare il pianeta.