Domenica 5 Maggio 2024

Un Tamerlano pop: il barocco è già nel futuro

A Ravenna l’opera di Vivaldi nel modernissimo allestimento di Stefano Monti, con Ottavio Dantone e la sua Accademia Bizantina

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di Stefano Marchetti

Tamerlano, il signore delle steppe, sembra il tiranno di un mondo alla Blade Runner, Bajazet, il sultano turco imprigionato, ci ricorda l’universo postapocalittico di Mad Max e la veste di Andronico, il principe greco, è come quella di un samurai di un altro pianeta. Sulla scena dai toni oscuri campeggia un misterioso monolite alla Kubrick che si alza e si abbatte, diventa altare e cattedra, esaltazione e condanna, mentre i protagonisti della storia cantano le meravigliose (e spesso acrobatiche) arie composte... quasi 300 anni fa. Già: per capire il nostro tempo e guardare avanti, occorre voltarsi indietro e tornare al barocco, perché "non c’è nulla di più moderno del barocco", dice il maestro Ottavio Dantone, direttore di quell’Accademia Bizantina che ha conquistato il podio dei Gramophone Awards fra le migliori orchestre al mondo.

Con lui la musica del Tamerlano di Antonio Vivaldi prende vita in un nuovo spettacolo, dall’impianto futuribile, con la regia di Stefano Monti e le esperte voci dei controtenori Filippo Mineccia e Federico Florio, del baritono Bruno Taddia (in alternanza con Gianluca Margheri), del contralto Delphine Galou, del soprano Marie Lys e del mezzosoprano Giuseppina Bridelli: la prima di ieri sera ha aperto la stagione lirica del teatro Alighieri (oggi alle 15.30 la replica, anche sul sito www.operastreaming.com), poi l’opera viaggerà per vari teatri di tradizione, Piacenza, Reggio Emilia, Modena e Lucca.

Nel 1735, quando debuttò a Venezia per il carnevale, il Tamerlano (o Bajazet) fu un successo straordinario. Abilissimo anche come imprenditore, Vivaldi aveva realizzato un ‘pasticcio’, ovvero uno spettacolo (oggi potremmo chiamarla una compilation) che univa arie composte da vari autori in voga: aveva convocato compositori come Geminiano Giacomelli, Riccardo Broschi, fratello di Farinelli, star dell’opera del ‘700, e Nicola Porpora, maestro del divo, e aveva riutilizzato alcuni brani da sue opere precedenti per creare un insieme affascinante."Nella parola ‘pasticcio’ non c’è alcuna connotazione negativa – spiega Dantone –. Questo genere permetteva di realizzare lavori che andavano incontro ai gusti del pubblico ed erano amatissimi".

A Ravenna la sfida principale è stata quella di dare forma visiva a un’opera che, pur nell’incanto della musica, viene rappresentata raramente proprio per le sue difficoltà di resa teatrale: i recitativi e le arie individuali possono far pensare che manchi completamente l’azione.

"Per questo abbiamo voluto fare incontrare il canto e la danza, mondi espressivi contigui che qui vivono felicemente insieme", fa notare il regista Stefano Monti. Grazie alla DaCru Dance Company, con le coreografie di Marisa Ragazzo e Omid Ighani, ogni cantante è sempre affiancato da un danzatore (un ‘alter ego’, un’ombra, forse un riflesso) che è come l’estensione della sua interiorità e si muove nello stile della urban fusion, evoluzione dell’hip hop. Suggestive proiezioni in 3D ma anche ‘apparizioni’ di sculture del teatro di figura restituiscono il senso della meraviglia barocca in una chiave contemporanea, e nei costumi perfino postmoderna.

Tamerlano racconta una storia di lotte di potere, di passioni e di amori contrastati, per chiudersi con un atto estremo ma anche con un afflato di pace: qui la vediamo in un tempo fuori dal tempo, ma potremmo pensarla come un ritratto dei nostri anni. La conferma che il barocco può essere davvero il teatro musicale del futuro "perché ha una forza emozionale eterna", aggiunge Monti. E proprio per questo, oggi come trecento anni fa, resta decisamente popolare. Anzi, pop.

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