Lunedì 29 Aprile 2024

Mi chiamo Terence, torno al western. "Mi mancavano i deserti. E Bud"

Hill attore e regista per il cinema dopo 24 anni dall’ultimo film

Bud Spencer e Terence Hill in "Continuavano a chiamarlo trinità" (Ansa)

Bud Spencer e Terence Hill in "Continuavano a chiamarlo trinità" (Ansa)

Roma, 14 aprile 2018 - Il western gli è rimasto nel cuore, con i suoi orizzonti sconfinati, le distese desertiche e le montagne, le galoppate in una nuvola di polvere, le scazzottate nei saloon. E d’accordo che con addosso la tonaca di Don Matteo continua a mietere, alla undicesima stagione, ascolti da record, ma Terence Hill non dimentica la formidabile stagione cinematografica degli spaghetti western, allegri e scanzonati, in coppia con l’amico Bud Spencer. E proprio a lui dedica “Il mio nome è Thomas”, film da Hill scritto, diretto e interpretato, prodotto dal figlio Jess Hill, e con cui torna al cinema dopo quasi venticinque anni. Una storia on the road, in cui Hill-Thomas, in sella a una moto raggiunge il deserto di Almeria, dove si ferma in un luogo solitario, quasi un avamposto da selvaggio west. Vorrebbe viaggiare da solo Thomas, ma incontra una ragazza, Lucia (Veronica Bitto), che inizialmente cerca di allontanare, e con la quale stabilisce poi un rapporto d’affetto. Come un padre. E, vedendo il film, e la conclusione della storia, viene da pensare a quanto vissuto da Terence Hill nel 1990, quando perse Ross, il figlio adottivo di 16 anni, in un incidente stradale in Massachusetts. Quasi un modo, forse, per elaborare quel lutto, “Il mio nome è Thomas”, che, dal 19 aprile nelle sale, questa sera verrà presentato in anteprima ad Amelia, in Umbria, dove è nato il padre di Hill. E il ricavato della serata sarà destinato al rifacimento dei giardini pubblici della cittadina.

Terence, come mai il tutore al polso destro?

"Ogni tanto si fanno sentire le conseguenze di tante scazzottate sul set. E ho anche quattro punti in testa, rimediati durante le riprese di ‘Altrimenti ci arrabbiamo!’. In una scena dovevano rompermi una panca in testa. Finite le tre costruite apposta, mi hanno colpito con una panca vera, e sono andato dritto al pronto soccorso. Ci sta, ogni tanto, facendo questo tipo di film, di farsi male, volendo poi fare sempre tutto da solo".

Controfigure mai?

"No, perché abbiamo sempre pensato che si vedesse la differenza. E allora preferivamo semmai fare qualcosa in meno, se era troppo difficile, ma fare tutto in prima persona. Io e anche Bud che, miope com’era, assestava sberle senza vedere nemmeno bene dove. E penso che questo abbia contribuito a rendere simpatici i personaggi".

Qual era stato l’ultimo film al cinema?

"‘Botte di Natale’, del ‘94, anche l’ultimo in coppia con Bud".

Come nasce “Il mio nome è Thomas”? Voglia di cinema dopo tanta tv?

"Non era un desiderio generico di tornare al cinema. Era da molto, da quasi dieci anni, che desideravo fare esattamente questo film. Ho iniziato a pensarci quando vivevo ancora in America e leggevo i libri di Carlo Carretto, che in Italia, al contrario che in America, non è molto apprezzato. Carretto ha un linguaggio semplice, ancora più del Papa attuale, e mi piaceva molto leggere i suoi libri. In particolare il libro, ‘Lettere dal deserto’, da lui scritto durante i dieci anni passati nel deserto dell’Algeria. Mi aveva colpito la sua storia personale, fuori dalle regole, la sua profondità, la sua ricera del mistero. Ma nel film c’è soltanto una scena presa da quel libro".

Thomas, invece, va nel deserto di Almeria, in Spagna.

"Sì, da tanto desideravo tornare lì, in quei luoghi dove ho girato in passato diversi film, a cominciare dal mio primo con Bud Spencer, ‘Dio perdona... io no!’. Per fortuna il deserto è rimasto uguale, mentre la città di Almeria è cambiata moltissimo, si è ingrandita, ma bene".

Nostalgia dei western?

"Sicuramente. Come Sergio Leone, al quale ho avuto modo di stare accanto a lungo, amo del western il carattere epico. E amo quei luoghi, quegli spazi, il senso di libertà. Ma credo di non essere il solo, perché molti mi chiedono sempre, ma quando rifai quei film? È un modo per uscire dalla quotidianità e sognare anche un po’".

Ci sono anche alcune autocitazioni.

"Stando lì sono venute spontaneamente, la scazzottata nel saloon, gli scontri a colpi di padellate".

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