"Hanno cercato di mettermi a tacere, invece hanno reso la mia voce ancora più forte". Così parla Salman Rushdie, ieri nel giorno dell’inaugurazione del Salone del Libro di Torino, all’incontro con la stampa per la presentazione di Coltello. Meditazioni dopo un tentato assassinio (Mondadori, traduzione di Gianni Pannofino). In questo libro lo scrittore indiano si racconta dopo l’attentato subito il 12 agosto del 2022, per mano di un terrorista islamico. Riceveva minacce dal 1989, quando fu condannato a morte da una fatwā di Khomeini perché “reo” di aver offeso la religione islamica con I versi satanici (Mondadori, 1988). Poi, nell’estate di due anni fa, fu colpito da 15 pugnalate mentre teneva una conferenza a Chautauqua, nello stato di New York.
"Quando si diventa bersaglio di attentati è perché stanno cercando di toglierti potere. Con questo libro ho voluto rivendicare il mio potere: dimostrare che sono io l’unico padrone della mia storia e decido io come raccontarla. Nessun altro" continua Rushdie. "Ho scelto di non citare il nome dell’attentatore. Innanzitutto perché non volevo; ha già avuto il suo momento di celebrità, ora può tornare a essere nessuno. Poi perché ho voluto ribaltare le carte in tavola. Con il suo gesto, ha cercato in qualche modo di “disinventarmi“. Ora, invece, sono io che “invento“ lui. Lo rendo un mio personaggio, così mi appartiene. Questo riscatta me e la mia arte".
Lo scrittore indiano naturalizzato britannico, 76 anni, simbolo della libertà di espressione, sottolinea il grande potere della narrazione, non solo nel raccontare ma anche nel determinare la realtà. Persino le guerre di oggi sono frutto di "una guerra mondiale delle storie". "È il momento di fare attenzione a come si raccontano le cose – dice –. Prendiamo i conflitti in atto nel mondo. Da una parte, c’è un leader russo che dice che gli ucraini sono nazisti e molti russi lo accettano e ci credono. Dall’altra parte, gli ucraini propongono una narrazione contraria. Ciò li mette gli uni contro gli altri. Stessa cosa in Medio Oriente. Ci sono forze contrapposte che combattono per lo stesso pezzo di terra, difendendo ciascuna la propria versione della storia. Tutto sta nel riconciliare queste narrazioni". Ma a chi gli chiede di esporsi sulla situazione geopolitica attuale dice: "Non ho una soluzione. Compito degli scrittori è fare le giuste domande più che dare delle risposte".
Oggi Rushdie sarà di nuovo al Salone, insieme a Roberto Saviano, per incontrare i lettori. "Ho sentito del contenzioso tra la premier Meloni e Saviano. A rischio mio personale devo dire che i politici dovrebbero farsi la pelle un po’ più dura perché un politico al giorno d’oggi oltre ad avere grande potere ha anche molta autorità. Quindi è normale che qualcuno tra la popolazione ne parli direttamente, magari male, anche usando una brutta parola (bastarda, ndr) come quella che ha usato Roberto. Io a questa signora darei un consiglio: essere meno infantile e crescere", dice Rushdie. Dopo il secondo appuntamento a Torino, resterà un po’ nel nostro Paese prima di fare tappa in altre città europee. Ma per ora si tiene alla larga dagli Stati Uniti. "Tornare in Italia mi sembra una vittoria – racconta –. Sono stato qui un mese prima dell’attentato. Ricordo di aver vissuto momenti bellissimi, tra Sardegna, Capri, Umbria. E anche un po’ Milano e Roma. Uscivamo dalla pandemia, tra l’altro, ed era bello riprendere a viaggiare. Poi c’è stato l’attentato. Oggi, essere di nuovo qui è come chiudere un cerchio".
Ha ancora paura? E di cosa? "Delle brutte recensioni" scherza. Continua: "Ho imparato ad avere cautela. Ma avere cautela non vuol dire avere paura. Ovviamente non voglio che ricapiti ciò che mi è successo, ma voglio continuare a vivere la mia vita liberamente". Di quelle 15 pugnalate porta ancora i segni. Ha perso un occhio e l’uso di una mano. Altre ferite non si vedono ma fanno male. Subito dopo l’emissione della fatwa "è stato molto doloroso vedere scrittori, che conoscevo personalmente e reputavo amici, schierarsi contro. A dire il vero, c’era anche il papa dall’altra parte della barricata". Dopo l’attentato, invece, l’appoggio è stato unanime e di questo ne è grato. "Non serbo rancore e dimentico facilmente" sorride. Ma i nomi di chi lo ha tradito "li ricordo tutti".