Roma, 25 aprile 2024 – Il 25 aprile di cinquant’anni fa in Portogallo cadeva la dittatura, l’ultima d’Europa. A quel clamoroso avvenimento Marco Ferrari aveva dedicato un libro, poi trasformato in film, dal titolo Alla rivoluzione sulla Due Cavalli. È il racconto di come, in quei giorni, due ragazzi raggiungono Lisbona a bordo, appunto, di una Citroen Due Cavalli. Ora da Laterza esce una nuova edizione, completata con un sequel Ritorno a Lisbona 50 anni dopo.
Cosa accade in questo seguito?
"I due protagonisti, ormai più che settantenni e acciaccati, ritrovano a Lisbona il rottame della Due Cavalli e decidono di rimetterla a nuovo per andare alla scoperta di un’altra rivoluzione, da qualche altra parte. Nel libro c’è una postfazione, Diario di una notte d’aprile ‘74 in cui ricostruisco la scaletta musicale che fece da sfondo alla notte della rivoluzione. È sorprendente che il primo brano trasmesso dalla radio subito prima del proclama dei rivoltosi sia stata Baile dos Passarinhos, la versione portoghese di Il ballo del Quaqua, forse una svista o forse un modo per sbeffeggiare la dittatura".
La rivoluzione portoghese fu unica: a condurla furono infatti i militari, al contrario di ciò che è sempre avvenuto in qualsiasi regime.
"I militari erano giovani che nelle canne dei fucili infilavano garofani in segno di pace, per quello si chiamò la rivoluzione dei garofani. Il grosso dell’esercito era composto da ragazzi che non volevano più morire nell’umidore africano per difendere quello che era il più grande impero ancora esistente. Il regime si autodistrusse da solo. Mentre Francia e Inghilterra avevano ormai fatto grandi concessioni alle loro colonie, Antonio Salazar cercò di mantenere un impero che stava crollando. Almeno 40mila ragazzi portoghesi scapparono all’estero per evitare la ferma di 4 anni. Il corpo ufficiali era formato da giovani laureati che rifiutavano la guerra: lì nacque la rivoluzione".
Antonio Salazar fu un dittatore molto particolare...
"Era un’ombra che non esisteva. Sotto la sua dittatura, che durò più di 47 anni, furono uccise 22.800 persone, eppure non c’è un solo documento al riguardo che porti la sua firma. Era un uomo di campagna, ex seminarista: nella sua residenza di Sao Bento teneva 200 galline e un orto gigantesco".
La sua fine fu beffarda...
"Cadde dalla seggiola del callista e batté la testa. Cominciò ad avere problemi cerebrali, e i ministri lo sostituirono con Marcelo Caetano. Ma dopo qualche mese Salazar si riprese, e nessuno ebbe il coraggio di dirgli che era stato destituito. Si inscenò la commedia di false riunioni dei ministri, di incontri con delegazioni estere, di riunioni. Il direttore del Diario de Noticias, suo amico, ogni notte faceva stampare una sola copia del giornale in cui venivano tolti gli articoli riguardanti Marcelo Caetano e li sostituiva con le cronache di ciò che aveva fatto Salazar. La farsa andò avanti per due anni".
Lei, come il protagonista del libro, andò a Lisbona nei giorni della rivoluzione. Che città trovò al suo arrivo?
"Gli esuli rientravano in massa dal resto d’Europa e restavano esterrefatti dal senso di libertà che pervadeva il Portogallo. I prigionieri politici, liberati, avevano fatto stampare libriccini che regalavano o vendevano per strada per raccontare la storia della loro persecuzione. Il mio amico regista Manuel Carvalheiro portò a Lisbona film che fino ad allora erano stati vietati, come Il grande dittatore di Chaplin e Roma città aperta, e li proiettava ai giardini della città".
Cosa resta di quella rivoluzione di cinquant’anni fa?
"Ideologicamente un grande ricordo, anche se la passione politica non c’è più. Anche in Portogallo la destra ha preso il potere. Eppure la ricorrenza della rivoluzione viene lo stesso celebrata con grande enfasi. Il Portogallo aveva avuto governi di sinistra che hanno portato grandi segnali di novità sociale e politica, e credo che ciò abbia influito sui valori fondanti dell’Europa".