Lunedì 9 Dicembre 2024
CLAUDIA MARIN
Libri

L’ora di Napoli. Basta pregiudizi e banalità. Sotto il Vesuvio c’è il cuore

Ciro Pellegrino racconta in un libro “Cinque percorsi tra persone, storie e strade“. Una mappa emozionale e sensoriale per vivere la città libera dai luoghi comuni.

L’ora di Napoli. Basta pregiudizi e banalità. Sotto il Vesuvio c’è il cuore

Stefania Sandrelli per le strade di Napoli nel film Parthenope di Sorrentino

Quanto è difficile raccontare Napoli? Se non altro, perché si guarda bene dall’essere soltanto una città.

Napoli è una specie di "grande tema", storicamente per tante ragioni ma forse più che mai oggi che, alle lacerazioni che la dilaniano senza pietà, si è aggiunto da qualche anno un importante dato, diremmo, “reputazionale“: la città della camorra e della delinquenza, della disoccupazione e della rassegnazione è solo la periferia di un favoloso "paese delle meraviglie" che una incontenibile ondata di overtourism incorona ogni giorno, sempre più clamorosamente, a livello mondiale: tutti sono pazzi di Napoli, e non c’è paragone né critica che tenga. Forse il suo potere magico sta anche nel pescare e attrarre in ognuno un frammento di riconoscimento, di emozione commossa ed empatica, di impalpabile ma pervasiva affinità interiore.

Sarà anche per questo che il libro di Ciro Pellegrino, Se potessi ti regalerei Napoli - Cinque percorsi tra persone, storie e strade (Rizzoli, pagg. 191) funziona così bene. Qualche parte di te intuisce dalle prime pagine che ti porterà in giro per la città – mondo, sì, ma passando dentro te stesso, attraverso una mappa non tanto topografica ma soprattutto emozionale e sensoriale. E così non c’è storia, questo libro finisci per divorartelo, proprio come fai con quella pizza fragrante e piegata a portafoglio, mentre corri per i vicoli appresso all’autore che ti spiega perché, per esempio, Spaccanapoli è "la strada che unisce".

Oppure ti incanta tra suggestione e religione, attraverso la grande croce di legno di Vico Cariati, facendoti respirare un’aria che non avevi mai sentito, lì "nel vicolo nero che non finisce mai e dove in inverno il sole passa per un saluto", dove "il vento fa il suo gioco e lo capisci quando ti metti ad angolo, a puntone. La famosa corrente d’aria che entra nello stretto e corre di più, impatta su panni stesi, bronchi e conversazioni". Potrebbe bastare anche solo questa come quota di empatia per un lettore. Ma invece è una goccia preziosa tra tante, dentro il vasto mare di questo libro che, comunque, non cede alle insidiose correnti dei luoghi comuni. La trappola era notevole, visto che Napoli è una sorta di luogo geometrico e letterario di pregiudizi, vittimismi, superficialità e frasi fatte.

Pellegrino, napoletano doc e capo cronista di Fanpage, è una voce narrante a diverse valenze e velocità: mentre ci accompagna in questo giro tra storia, tradizioni, attualità e sentimento, due forze dialogano tra di loro in una implicita, accattivante dialettica; e, se una di esse ci spiega chirurgicamente che "“insalata, torrone e zucchero a velo“ sono i nomi che spacciatori e clienti danno ai tre tipi di sostanze stupefacenti più diffuse, distinguendoli per forma e natura, foglia, morbido blocchetto scuro o polvere bianca", subito l’altra gioca sulle emozioni; e "vince facile" partendo dall’inizio di tutto, ossia "il vero luogo da cui iniziare un racconto, un viaggio, una vita": la stazione centrale. Se ti stai già per commuovere, arriva il colpo di grazia: "La stazione ha gli occhi, ma non piange. Altrimenti vedresti scendere un mare di lacrime ogni giorno. È puro amore. Vedo una signora che corre alla laurea di un figlio, lo capisco dalla corona di alloro che tiene in mano e dalla faccia orgogliosa che ha. (…) Due guaglioni si abbracciano e si mangiano con gli occhi davanti a un caffè rubato al tempo, ai ritardi, alle coincidenze, alla vita".

La stazione è anche il luogo da cui tanti sono partiti, in cerca di nuove opportunità. Ma non tutti. "Io a Napoli ci sono rimasto. E quelle volte che sono partito è stato sempre per tornare. Restare è diventata una responsabilità, perché per lavoro ho scelto di spiegare agli altri quello che succede qui". E meno male. L’amore vince su tutto. L’"ammore", di più.