Roma, 20 maggio 2024 – “Non era un romanziere: sapeva raccontare soltanto la sua vita, ma la sua vita era appassionante e lui la raccontava bene”. Con queste parole Emmanuel Carrère introduce Ėduard Veniaminovič Savenko in “Limonov” (Adelphi, 2012), il caso editoriale da cui è stato tratto l’omonimo film di Kirill Serebrennikov presentato in questi giorni al festival di Cannes.
Savenko, soprannominato “Limonov” per il suo stile di scrittura aspro ed esplosivo (con riferimento alla M26, la “bomba limone”) non è un personaggio inventato. Morto a marzo del 2020, “è stato teppista in Ucraina, idolo dell'underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani” si legge nelle prime pagine del romanzo biografico firmato Carrère. Acclamato tanto dalla critica quanto dai lettori, il libro è stato in cima alle classifiche in Francia, Russia e Italia – come riportato da Stefano De Luca, Alan Di Forte e Chiara Palmisciano in “Limonov. Analisi di un caso editoriale” (Oblique Studio, 2015) sia per la peculiarità della storia sia per il modo in cui è stata ricevuta dal pubblico.
Pubblicato per la prima volta in Francia nel 2011, “Limonov” è frutto di una stesura durata anni. È un’opera accattivante, amara e sorprendente, un romanzo nero e d’avventura, costruito su più livelli: la storia di Savenko, la storia della Russia dal secondo dopoguerra e l’esperienza di Carrère, che accosta ricordi personali alla narrazione dei fatti, conferendo all’opera dei tratti autobiografici che sono stati cruciali nel determinarne il successo. C’è stata un’intersezione tra le vite dei due scrittori, caratterizzata da più coincidenze senza le quali forse il romanzo da milioni di copie non sarebbe stato scritto. Carrère ha scoperto Savenko casualmente, grazie alla madre – l’illustre storica Hélène Carrère d’Encausse, specializzata in studi sulla Russia – che aveva in casa il suo primo libro, “Il poeta russo preferisce i grandi negri” (Frassinelli, 1985), dove l’autore raccontava la sua esperienza a New York. Ne rimase immediatamente affascinato e decise di contattare lo scrittore russo, che in quel periodo si trovava a Parigi, per intervistarlo. Sono iniziati così una serie di incontri sporadici tra i due, finché Savenko non è tornato in Russia nel 1991, in seguito alla caduta dell’URSS. Carrère ha cercato di seguire la sua storia da lontano, ma al momento del suo arresto nel 2001, sotto le accuse di terrorismo e traffico d’armi, lo perse di vista. È di nuovo per caso che i due si sono rincontrati, nel 2006, quando Carrère si trovava a Mosca per raccogliere testimonianze sulla giornalista Anna Politkovskaja, uccisa perché avversa al regime di Putin. Così si apre il romanzo di Carrère, che in mezzo alla folla riunitasi per la quarta commemorazione per l’eccidio nel teatro Dubrovka, riconosce il volto di Limonov.
Durante il soggiorno a Mosca, l’autore francese ha passato due settimane con Savenko, intervistandolo, osservandolo nella quotidianità. A ciò ha accostato la lettura dei suoi libri, essenziale per la ricostruzione di un personaggio così singolare. Presto si è reso conto che una storia del genere avrebbe suscitato le reazioni più diverse. Limonov non solo è controverso, ma sembra inglobare più persone diverse al suo interno: si dichiarava fascista, ma allo stesso tempo “sfoggiava una giubba da ufficiale dell’Armata Rossa”; leader del partito nazional-bolscevico, da lui fondato; ma anche poeta e scrittore da milioni di copie, che sognava una rivoluzione democratica nella Russia di Putin. Un personaggio per tutti e per nessuno: Carrère sceglie di raccontare la sua storia senza giudicarla, “sospendendo il giudizio”, e riuscendo così a trasformare il racconto di una storia personale in un’esperienza universale. Ed è proprio questa la ragione del suo successo. Per quanto incoerente, “a volte commovente, a volte ripugnante”, Limonov nella prosa di Carrère non è mai mediocre: “Quel che soprattutto intendevo mettere al centro del romanzo è la tentazione di condurre una vita avventurosa, una esistenza eroica, una tentazione che ci coglie tutti da giovani, ma che quasi sempre abbandoniamo – ha spiegato l’autore stesso in un’intervista per “Il Manifesto” – Limonov invece è rimasto fedele a questo ideale”.