Asmaa Alghoul è nata ed è cresciuta a Rafah e leggere il racconto della sua avventurosa esistenza mentre la città, e l’intera Striscia di Gaza, sono sottoposte a una brutale aggressione da parte dell’esercito israeliano, è per un verso angosciante, ma fa anche pensare a quante occasioni siano state perse, in quel tormentato quadrante di mondo, per evitare che tutto degenerasse fino all’annunciato disastro in corso. Asmaa, che oggi ha quarant’anni, si è raccontata a Sélim Nassib, uno degli scrittori palestinesi più conosciuti e tradotti (i suoi titoli maggiori sono Ti ho amata per la tua voce e L’amante palestinese), e ne è uscito un volume, La ribelle di Gaza, che è una veloce e vivace autobiografia a doppia firma. Il libro è uscito in prima battuta in Francia nel 2016, e solo oggi arriva in Italia grazie alle edizioni e/o, perciò la lettura suscita disappunto – sul piano storico-politico, s’intende. Asmaa è una ragazza, poi una donna, che entra presto in conflitto con molte delle convenzioni che tengono a freno le libertà femminili. Ha la fortuna di avere un padre che asseconda la sua esuberanza negli studi e nelle idee e quindi la sua indipendenza, ma si trova presto a scontrarsi con le istituzioni del posto: la famiglia, l’università, il potere. All’università, per dire, litiga con il professore di scienze politiche, perché presenta una relazione in favore del pluripartitismo, su base politica ma anche religiosa, rifacendosi alle teorie dello sceicco Yusuf al-Qaradawi, peraltro membro dei Fratelli musulmani; il professore va su tutte le furie, sostenendo che uno Stato musulmano può accettare solo un partito islamico, ma alla fine le assegna un buon voto (92/100).
Sono gli anni della crescita di Hamas a Gaza, un’espansione che Asmaa descrive nella sua fase nascente, quando gli islamisti, con toni moderati e un vasto spettro di interventi sociali e solidali, guadagnano la fiducia dei gazawi, approfittando dell’inefficienza e delle debolezze di al Fatah e delle forze laiche. Asmaa avversa gli islamisti anche in famiglia (uno zio è fra i dirigenti di Hamas) e fa capire quanto stia stata stringente, ma non ineluttabile, la morsa che si è stretta sulla sua gente, con Hamas da un lato e la mano violenta e oppressiva del potere militare di Israele dall’altro, una presenza incombente, ineludibile, che ha finito per favorire i fondamentalisti. Asmaa lotta contro il velo, sostenendo che non vi sono precetti religiosi a imporlo, si unisce alla “primavera araba” del 2011, e scrive scrive scrive; scrive tutto, prima su un blog e sui social, poi diventando giornalista e infine un personaggio pubblico a tutto tondo, una paladina dei diritti civili e dei diritti delle donne, una spina nel fianco per Hamas. Finisce in prigione, vive periodi all’estero, ha due matrimoni infelici, alla fine lascia Gaza, mantenendo però un legame passionale con Rafah e con il suo popolo.
Nella Ribelle di Gaza compare anche Vittorio Arrigoni, il cooperante italiano testimone e cronista dei raid israeliani durante l’operazione “Piombo fuso”, ucciso nel 2011 dal membro di una formazione islamista dissidente: "Era uno di noi", scrive Asmaa di Arrigoni, "non parlavo con lui come fosse uno straniero".
La Gaza di Asmaa Alghoul è una terra di sofferenze ma anche piena di sorprese, di gioventù, di travolgente voglia di vivere nonostante l’oppressione islamista, le privazioni, la violenza militare. "A Gaza", scrive la ribelle di Rafah, "la televisione non si spegne mai, come del resto il sesso. Tra marito e moglie, s’intende. Questo paese è straordinario. Le donne di qualunque condizione, comprese quelle velate fino agli occhi, non fanno che andare nelle boutique a comprare camicie da notte e perizoma. Questa è Gaza, la vita segreta di Gaza!". Ma era il 2016, quando un’altra Gaza (forse) era ancora possibile.