Sassuolo, 15 settembre 2024 – "Camminiamo sull’inferno guardando i fiori", recita un delicato haiku giapponese. "Anche io ho dovuto farlo: ho dovuto assumere il comando più importante: il dominio su di me, sulle mie ansie, sulle mie paure", confida il maestro Giovanni Allevi, compositore e pianista di fama internazionale. Ha attraversato anni difficili, combattendo il mieloma, ha dovuto affrontare un duro percorso di cura, ha potuto salutare la rinascita. Anche quando gli ostacoli sembrano invalicabili, anche nella fragilità – ha raccontato l’altra sera al FestivalFilosofia di Sassuolo, nel Modenese – esiste una via verso una più compiuta felicità. Basta saper accogliere i doni che esperienze dolorose come queste ci possono trasmettere, I nove doni che Allevi ci rivela nel nuovo, toccante libro, uscito da pochi giorni da Solferino: unicità, prospettiva, riconoscenza, rigenerazione... "Erano da sempre presenti nella mia vita come pacchetti avvolti in una carta scintillante, in attesa che li trovassi", scrive il musicista. Che qui ci rivela una “nuova“ felicità.
Maestro, Nove doni sulla via della felicità. La malattia ha cambiato il suo concetto di felicità?
"Un giorno un giovane dottore entrò nella stanza d’ospedale senza bussare. Agitando dei fogli disse che avevo 13 globuli bianchi. Capii immediatamente, dopo un’attesa snervante durata settimane, che il mio midollo osseo aveva ricominciato, molto timidamente, a generare un nuovo sistema immunitario. Questo significava che la lancetta che fino ad allora puntava sulla mia morte, si era spostata verso la vita. Ricordo in quel momento venirmi addosso un camion di felicità, nonostante fossi bloccato a letto dolorante, calvo, debilitato e imbottito di oppioidi".
Che tipo di felicità?
"Quando facciamo esperienza concreta della possibilità della nostra fine, concreta e non teorica, la felicità si sposta su altre dimensioni dell’esistere. Sono felice perché sono semplicemente vivo, anche se non ho combinato niente. Sono felice perché posso ammirare ancora un tramonto, anche se non ho più i capelli e sono esteticamente repellente. Sono felice perché un po’ di persone mi vogliono bene e non importa il loro numero".
Uno dei doni di cui lei parla nel libro è la capacità di liberarsi dal giudizio altrui. Lei si sentiva molto “schiacciato“?
"Ho un’indole ansiosa e la libertà dalle catene del giudizio esterno rappresenta forse il dono più importante che la malattia mi ha fatto. Quando da giovane facevo il concertista classico e interpretavo Bach, Chopin e Ravel, non c’era alcun problema. Dal momento in cui invece sono uscito dai binari della consuetudine e ho iniziato a suonare la mia musica, il concerto veniva vissuto da alcuni come un’entusiasmante manifestazione del presente, da altri come un sacrilego affronto alla tradizione. Ho sempre avuto difficoltà ad accogliere il giudizio negativo, anche se sapevo bene che esso fosse il frutto di una proiezione freudiana. Infatti giudichiamo male negli altri ciò che non riusciamo ad accettare di noi stessi".
Ora tutto è cambiato...
"Sì, il frutto della mia creatività, della mia anima, della mia immaginazione possiede un nucleo di indiscutibilità. Se qualcuno non apprezza le mie scelte, lo lascio andare e addirittura ne rispetto il punto di vista, pur non condividendolo. Ma voglio che sia chiaro il concetto: ogni volta che parliamo male di qualcuno, stiamo parlando di noi stessi!"
"Almeno per oggi non ti preoccupare", è scritto su un braccialetto di cui lei parla nel suo libro. Ma – alla luce della sua esperienza – di cosa ci preoccupiamo troppo?
"Quel braccialetto di gomma mi è stato regalato dalla psicoterapeuta dell’Istituto dei Tumori di Milano ed è un omaggio che meravigliose onlus fanno ai pazienti oncologici. Contiene un messaggio molto importante, dal sapore decisamente stoico: quando le cose stanno andando bene o benino, non sciupiamo questo momento pensando a un possibile peggioramento nel futuro. Festeggiamo! Magari con un cappuccino e la brioche. Imparare a vivere nel qui e nell’ora è stato difficilissimo soprattutto per me, perennemente in pensiero per ciò che avverrà domani".
Cosa ci ruba inutilmente troppo tempo?
"Noi siamo indotti a inseguire il nostro successo personale: questa è la spinta potentissima che ci viene dalla società. Posso io passare tutta la vita a inseguire questo stupido traguardo esterno? Non ne ho le forze. Preferisco ascoltare la voce delicata della mia anima e fare ciò che mi piace davvero".
Lei è tornato ai concerti, ha ritrovato il suo pubblico che la aspettava. Come si sente, oggi, sul palcoscenico?
"Il ritorno ai concerti è stato bellissimo anche se devo fare i conti con il mal di schiena e col tremore alle dita. Magari qualche nota non sarà perfetta, ma l’affetto, il sostegno e l’entusiasmo del pubblico sono un’onda di bellezza dalla quale voglio farmi avvolgere. Non potendo più contare sul mio corpo, ora suono con tutta l’anima".
E per questi nove doni, a chi dobbiamo dire grazie?
"La risposta può sembrare inconcepibile: se non ci fosse stata la malattia, non sarei stato in grado di intuire e recepire i doni che la vita continuamente mi offre. Quando attraversi il buio hai due possibilità: o abbandonarti alla disperazione o aprire il tuo cuore, giorno per giorno, alla meraviglia".