L’intenso saggio di Sara Taglialagamba, che fa prezioso il catalogo, illumina l’importanza della mostra leonardesca di Livorno Bellezza e invenzione (disegni autografi, Il Codice del Volo, disegni e dipinti leonardeschi, al Museo della Città, dal 20 dicembre al 1° aprile 2024). Mostra ennesima, verrebbe da dire, dedicata al geniaccio toscano e universale, Ma no, qui tocchiamo l’essenziale. Infatti, il catalogo e il corpus notevole di opere esposte ci fanno precipitare nel gorgo della invenzione leonardesca. Gorgo che è il medesimo, dico subito, dell’eros, ovvero della invenzione delle forme, e dell’anima che ama e contempla. Questo spasimo di inseguimento della realtà Leonardo stesso chiama desiderio. Inseguimento che coniuga scienza e arte non per banale dialogo tra le discipline, ma per comune impeto. La invenzione per Leonardo è frutto di desiderio. E le arti sono contemplazione conoscitiva. E perciò la pittura è la superiore, per lui. Vi subordina pure la poesia – e non stupisce in un uomo privo di parola poetica, a differenza di Michelangelo e Raffaello. E mentre tutti invece consideravan lei la superiore al geniaccio sfuggiva la poesia. Questione da approfondire. Ma quel che qui importa non è la discutibile classifica, ma il motivo per cui pone la pittura a superiore. È una "scienza e legittima figlia di natura, perché la pittura è partorita da essa natura; ma per dir più corretto, diremo nipote di natura, perché tutte le cose evidenti sono state partorite dalla natura, dalle quali cose è nata la pittura. Adunque rettamente la chiameremo nipote di essa natura e parente d’Iddio".
A noi, cartesiani e galileiani, può sembrare che l’invenzione si origini dunque nella leonardesca capacità di osservazione di cui la pittura è espressione. Ma le cose non stanno semplicemente così. Nel Libro di Pittura l’occhio è "finestra dell’anima"; da cui "la bellezza dell’universo è specchiata dai contemplanti". Chi si priva di tale contemplazione "si priva della rappresentazione di tutte le opere della natura, per la veduta delle quali l’anima sta contenta nelle umane carceri". Quindi ben più che osservazione e rappresentazione! Entrano in gioco parole come "anima" e "contemplazione". A quale desiderio profondo corrispondono la furia e la potenza delle osservazioni e invenzioni? Ci informa Sara Taglialagamba che "desiderio" è termine utilizzato con una certa ricorrenza nei suoi scritti. È indicativo che al foglio 210 r del Codice Arundel (c. 1495-1497), in vari appunti rivolti al tema delle proprietà dell’acqua, forse destinati trattato di cosmologia, egli la usi in un modo singolare. "Infatti, inserisce la parola “desiderio“ dopo aver scritto l’intero passo aggiungendola nello spazio ristretto della frase come per rafforzare coscienziosamente il termine “natural corso“. La nuova frase dovrebbe dunque leggersi sostituendo la parola “desiderio“ a “natural corso“ in questo modo: “E quella causa che la move per le vene contra ‘l natural corso, desiderio de le cose gravi, come quella che move li omor in tucte le spezie de’ corpi animati”.
Sono parole che, insieme a quanto la studiosa mette in luce sulle dinamiche culturali nella Firenze quattrocentesca, tra bottega del Verrocchio, neoplatonismo e cardinale Niccolò Cusano, gettano una luce nuova sulla invenzione leonardesca. Vi si lega, e non si oppone, l’impeto amoroso ("amor che move") medievale e dantesco alla curiosità della scienza che diverrà moderna. In nome del desiderio del corpo e dell’anima.