Mercoledì 24 Aprile 2024

Lei, figlia di Milano e del popolo Quell’amore difficile con la Scala

Papà tranviere, mamma operaia, casa con il bagno all’esterno. Poi, dal Piermarini, ha preso il volo

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di Simona Ballatore

Non è “solo“ una fiaba, non è leggenda, anche se poi lei – Carla Fracci – leggenda lo è diventata. I primi passi “Carolina“ li mosse in una casa di ringhiera di via Ugo Tommei, a Milano, tra Porta Vittoria e Porta Romana. Una di quelle “case minime“, di edilizia popolare, che costellavano le periferie, con il bagno all’esterno. Due stanze in quattro. Da una delle camerette le sue esibizioni si spostarono nella saletta del dopolavoro dei ferrovieri: il papà faceva il tranviere, sua mamma era operaia. Già da piccina, col suo portamento, incantava i grandi. Al punto che i genitori si convinsero – per fortuna – a bussare alla scuola di ballo della Scala. Perché era la più rinomata in città – e già tra le più severe e selettive al mondo – ma anche perché non si pagava per seguire i corsi: l’unica chiave d’accesso era il talento. Al quale poi si doveva sapere intrecciare l’impegno. E la fanciulla – che il padre accompagnava al Piermarini col suo tram numero 1 che, destino vuole, passava proprio di là – aveva le carte più che in regola: era il 1946, aveva 10 anni.

Nella sua Milano diventò l’étoile, diventò la Giselle. Al Piermarini ha debuttato tutti i suoi ruoli di prima ballerina assoluta. E ha sempre amato la Scala, nonostante tutto, nonostante l’amor “tradito” negli anni a venire: tanti infatti per continuità, per riconoscimento della storia tracciata, l’avrebbero vista come direttrice del corpo di ballo. Ma fu un’occasione mancata. Certo Roma ne approfittò: "La prego, venga da noi". E Milano se la lasciò sfuggire, come Strehler, nonostante sia stata "la personalità più importante della storia della danza alla Scala", riconosce il sovrintendente Dominique Meyer, che sta studiando come renderle il tributo che merita. Le porte “scricchiolanti“ però non si chiusero mai del tutto, lei era sempre e comunque di casa, e Manuel Legris, direttore della compagnia della Scala, aveva riannodato i fili che si erano allentati nel gennaio scorso, nominadola supercoach per la Giselle affidata a Martina Arduino e Nicoletta Manni. "Sono finalmente tornata a casa, nel mio teatro", aveva detto Carla con le lacrime agli occhi, facendo commuovere tutti. Andata e ritorno. Si è chiuso il cerchio, anche se tutti pensavano sarebbe stato un nuovo inizio in quella Milano alla quale mancherà così tanto la figlia del tranviere che, in punta di piedi, toccò le stelle e che ha sempre dimostrato di amare la città tutta.

"Ha ostinatamente creduto nella danza, l’ha portata ovunque – sottolinea Alberto Bentoglio, professore di Storia del teatro e dello spettacolo all’università Statale di Milano –. Indimenticabile l’esperienza del “Teatro Quartiere“ di Paolo Grassi e quel chapiteau du Cirque che girava nelle periferie. Nella programmazione c’erano sempre balletti classici. E lei, Carla Fracci, danzava in piazzale Cuoco o a Lorenteggio con lo stesso impegno e lo stesso coraggio che mostrava davanti ai pubblici dei teatri d’opera internazionali. Al di là del suo aspetto da Giselle, fragile, dolcissimo, c’era Carla la rivoluzionaria, che non restava nella torre di cristallo".

Carla che non esitava a mettere piede nei teatri, dal Piccolo al Franco Parenti, per applaudire i colleghi e gli amici della prosa. Carla Fracci “col coeur in man”, che tanto si spendeva per la città. "Addio tranvierina, i tranvieri ti ringraziano": così il tributo delle stelle della danza non può che unirsi a quello dell’associazione dei lavoratori Cobas. Era scesa anche sul red carpet della protesta, nell’ottobre del 2003, quattro giorni dopo lo sciopero totale e spontaneo dei tranvieri milanesi a causa del mancato rinnovo contrattuale. "I cittadini milanesi solidarizzarono con i tranvieri nonostante la forte campagna denigratoria dei potenti di Milano – ricorda Claudio Signore –. A lei e a suo marito Beppe Menegatti va il nostro eterno ringraziamento". Perché Carla Fracci, oltre a non aver mai dimenticato le periferie, non scordava le sue radici: schiena dritta, testa alta. Come nella danza.

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