Sabato 27 Luglio 2024
CATERINA CECCUTI
Magazine

"La mia vita imperfetta è un messaggio di speranza per tutti"

"La mia vita imperfetta  è un messaggio  di speranza per tutti"

"La mia vita imperfetta è un messaggio di speranza per tutti"

di Caterina Ceccuti

Non guardatela con commiserazione. Non non chiamatela "poverina". Claudia Campus è una bellissima donna sarda di quarant’anni, affetta da epidermolisi bollosa che, quando esce di casa e spinge la sua carrozzina in spiaggia o in mezzo alla gente, ha solo voglia di distrarsi. "Mi piacerebbe che le persone riuscissero ad andare oltre l’apparenza del mio corpo e si ricordassero che dentro sono fatta esattamente come chiunque altro. Questo per me significa inclusione: andare veramente oltre l’apparenza" afferma.

Claudia, cosa comporta l’epidermolisi bollosa e come ha scoperto di averla?

"È la malattia dei così detti ’bambini farfalla’, perché la nostra pelle è fragile come le ali di questo insetto bellissimo ma altrettanto delicato. Sull’epidermide si generano delle bolle che somigliano a ustioni, e che poi si trasformano in ferite da medicare obbligatoriamente ogni giorno, attraverso un procedimento doloroso che dura delle ore. La malattia mi è stata diagnosticata alla nascita. Nel 1983 in Sardegna non se ne sapeva molto, i medici non capivano cosa potessi avere".

E poi?

"Mi diedero un paio di mesi di vita e dissero ai miei genitori di battezzarmi in fretta. Invece sono sopravvissuta; ma a quattordici anni, non si sa come, presi una brutta infezione della pelle e mi ritrovai ricoperta di ferite dalla testa ai piedi. Iniziai le medicazioni, Purtroppo però la scabbia aveva ormai peggiorato la mia malattia, perché ogni minimo trauma aggrava le condizioni della mia pelle. Come se non bastasse l’epidermolisi bollosa può causare carcinomi, come quello che ebbi alla gamba sinistra e che, sfortunatamente, mi fu diagnosticato tardi. Il prezzo che ho dovuto pagare è stato l’amputazione dell’arto".

Cosa significa per lei il termine ’inclusività’?

"Significa non fermarsi all’apparenza, a quel che gli occhi vedono, perché io sono diversa solo esternamente. Dentro sono fatta come tutti gli altri. Anni fa in Sardegna aprirono una spiaggia inclusiva che si chiama Lido del sole. Erano due anni che non andavo al mare. Incuriosita mi ci recai in carrozzina, ma inizialmente non volevo mostrarmi; il primo anno indossavo sempre pantaloni lunghi e canottiera. Gradualmente ho iniziato a mostrare sempre più parti del mio corpo e oggi, dopo sei anni, ci vado in bichini e pantaloncini. Ammetto però che sia molto complicato mostrare le cicatrici, le ferite e le medicazioni che porto addosso, perché si tratta di parti intime di me stessa. Però alla fine ci sono gradualmente riuscita e anche ieri sono andata in spiaggia per giocare a bocce e a racchette".

Cos’è invece, secondo lei, l’assenza di inclusività?

"Qualcosa che fa star male. Quando esco voglio lasciare i problemi a casa. Ma se incrocio uno sguardo di pietà che mi ricorda quanto sono diversa, anche mentre magari in quel momento sto pensando ad altro o sto sorridendo per qualcosa, vengo subito sbalzata nella mia realtà, nei miei problemi".

’Perfettamente imperfetta’ (Quiedit edizioni), è il titolo del suo primo libro. Come è nata l’idea?

"Tutto è iniziato con la morte di mio padre, tre anni fa. Lui era l’unica famiglia che avessi. Era Natale e non avevo voglia di andare da nessuna parte. Mi sentivo sola, mi mancava papà. Allora pensai di scrivergli una lettera e, da quello che poi è diventato il primo capitolo, ho iniziato un intero libro. La vita mi ha preso a schiaffi tante volte, ma se ce l’ho fatta io allora possono farcela tanti altri. Il mio libro vuole essere un messaggio positivo destinato non solo ai malati ma anche ai giovani, che si buttano giù per poco, che sentono il peso di una società che vuole imporre sempre troppe cose".