Lunedì 29 Aprile 2024

Innamorato e traditore: le metamorfosi di Kafka

L’impossibile vita romantica di Franz come un romanzo. Scriveva centinaia di lettere appassionate per poi fuggire dalle sue donne

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di Chiara Di Clemente

L’incontro avvenne nell’estate del 1912, a Praga, in casa dell’amico ex compagno di università Max Brod. Lui aveva 29 anni, la cugina di Brod, in visita da Berlino, 25. Lei in lui vede un giovanotto brillante e allo stesso tempo timido, quasi taciturno e poi improvvisamente invadente, entusiasta. Nota gli occhi grigio-azzurri che a volte diventano scuri. In poche ore arriva a promettere a quello sconosciuto che sarebbero partiti insieme nel viaggio che si riprometteva di fare, già da sola, a Gerusalemme. E lui?

Il 20 agosto lui le scrive: "Signorina F.B. Quando il 13 agosto arrivai da Brod ella era seduta a tavola, eppure mi parve una domestica. Non avevo alcuna curiosità di sapere chi fosse. Viso ossuto e privo di espressività che mostrava apertamente il vuoto. Collo libero. Camicetta trascurata... Naso quasi rotto. Capelli biondi un po’ lisci, senza attrattiva, mento robusto. Mentre mi mettevo a sedere la guardai per la prima volta più attentamente, quando fui seduto avevo già un giudizio incrollabile ". Un colpo di fulmine può essere anche così, se gli innamorati sono Franz Kafka e Felice Bauer, la Signorina F.B. sciatta in pantofole e vacuità, "ma allora – scrive Kafka – cosa c’è che me la rende così interessante da non potermi distogliere dal suo ricordo?".

Gli amori di K sono un romanzo nel romanzo. Ne dà conto adesso il libro Un cuore al buio (Francesco Brioschi Editore), in cui Manuela Cattaneo della Volta e Livio Sposito hanno ricostruito le voci delle sue donne: Felice Bauer, Grete Bloch, Julie Wohryzek, Milena Jesenská, Dora Diamant. La signorina Felice dal volto vacuo è la vittima numero uno: tra il 1912 e il 1917 il suo Franz arrivò a scriverle 600 lettere (alcune persino intercettate dalla madre), a fronte di tre soli incontri d’amore, e pochissimi altri di circostanza. L’amore che Kafka esprime per lei nelle lettere è totalizzante, ossessivo, quello che mette in atto nella realtà è negato, represso. L’ossessione amorosa, le passioni profonde e generose, nella sua testa sono il nutrimento per la sua arte; la trasformazione del pensiero in vita è paralizzante, paurosa, impossibile. Con Felice Kakfa si fidanza e si lascia, le promette appuntamenti che rimanda, una casa per loro, scompare, si rifidanza e fissa il matrimonio. Lei lo segue di buon grado, poi sempre con maggiore irrequietezza, malanni, emicranie: sa che la sua presenza aiuta K, debole di salute e dalle notti insonni, a vivere e a creare, sa che lui nel profondo teme che una famiglia lo distragga dalla vocazione artistica. Chiede all’amica Grete Bloch che gli parli, che faccia chiarezza. E il momento della chiarezza arriva quando lui, annullato all’improvviso il matrimonio fissato a settembre, si presenta a Berlino, all’Askanischer Hof, il 12 luglio del 1914: in una stanza, dinnanzi a Felice, Max e a un’aggressiva Grete balbetta poche parole, si agita come un animale preso nella rete, non riesce a pronunciare una frase che spieghi il suo incomprensibile comportamento. Nell’agosto del 1914 scriverà a Max: "Ho cominciato un nuovo romanzo: Der Prozess". Elias Canetti ha sempre sostenuto che l’implacabile macchina narrativa del Processo altro non sia che la trasposizione della sua tormentata, esasperante vicenda sentimentale con Felice.

Kafka l’aveva tradita proprio con Grete, così come si era già innamorato di Milena mentre ripeteva il copione di toccate (poche) e fughe (molte) con Julie. Grete sarebbe anche rimasta incinta di K: prove non ce ne sono, ma la donna scrisse al musicista Volfang Scrockhen confessandogli che era K il padre del figlio morto nel 1921 a Monaco, a sette anni; nel luglio del ’40 Grete "apolide di origine tedesca ebrea", fu internata nel comune di San Donato Val di Comino; si fece battezzare, ottenne documenti falsi per sfuggire ai nazisti che avevano occupato l’Italia, ma invano. Fu tradita, deportata, uccisa: le valigie che contenevano foto di lei con un bambino, sparirono.

Anche Milena fu vittima del nazismo: arrestata nel 1939 dalla Gestapo e deportata nel campo di concentramento di Ravensbrück, in Germania, malata di nefrite, muore il 17 maggio del 1944. In Un cuore al buio la sua testimonianza su Kafka è forse la più toccante: letterata anch’ella – era la sua traduttrice dal tedesco al ceco – capisce K come non lo capisce nessuno, neanche Dora Diamant che sarà l’unica donna con cui – grazie al sereno senso pratico di cui ella era dotata – lo scrittore riuscì a convivere per un po’, fino alla morte, a 40 anni. Per Milena Kafka "Era un uomo premuroso ma imprigionato da sbarre di inquietudine che lo tenevano lontano da un mondo che vedeva buio... Voleva espiare con correttezza ogni giorno la sua colpa. Quale? Cercai di aiutarlo a uscire da questo labirinto. Non ci riuscii: immaginavo che egli si ritenesse colpevole di essere vivo. Ogni giorno fin dalla prima gioventù cercò la redenzione, cercando di farsi perdonare dal suo Dio attraverso il padre, la famiglia, il lavoro. Lo scrivere era il modo di chiedere scusa al mondo intero. Credo che anche l’innamorarsi fosse per lui un ricadere nel tranello della colpa. L’essere felice era sfuggire, evadere dalla colpa che doveva espiare".

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