Lunedì 20 Maggio 2024
ANGELA TERZANI
Libri

In casa di Terzani bambino: "Quel fiume possente dipinto dal padre. E lui iniziò a viaggiare"

La moglie Angela racconta la famiglia di Tiziano: il nonno scalpellino, il papà artigiano. Da Malmantile alla Firenze del Dopoguerra, poveri ma “con la nobiltà della miseria“.

Tiziano Terzani

Tiziano Terzani

Si sapeva che Tiziano Terzani era un fiorentino vero, doc. Ma poi lo si vedeva vivere e viaggiare quasi soltanto in Asia e non era affatto chiaro che, mentre lui si immergeva sempre più profondamente nelle grandi civiltà orientali, le sue radici, quelle umane e culturali, restassero saldamente abbarbicate all’Italia, alla Toscana e soprattutto a Firenze. Jacopo Storni invece, troppo giovane per averlo potuto conoscere di persona, l’ha potuto confermare nel corso della sua bella indagine svolta nei luoghi della giovinezza di Tiziano e nei ricordi ancora vividissimi di chi lo frequentava allora.

Tiziano amava la Firenze della sua infanzia, quella del Dopoguerra, degli artigiani di antica tradizione e di una civiltà dei modi che andava indietro nei secoli: poveri sì, ma “con la nobiltà della miseria”. Questi rispettavano la bellezza della loro città al punto che cenavano a caffellatte piuttosto che andare in centro senza potersi “rivestire” e fare bella figura. Gente in parte ancora analfabeta, ma che sapeva benissimo chi era Dante e recitava i suoi versi a memoria.

I Terzani venivano da Malmantile, un piccolo borgo nel comune di Firenze sull’antica via per Pisa. Scalpellini da generazioni, avevano estratto dalla Cava Terzani le pietre con cui furono costruite le chiese, i palazzi e i ponti di Firenze. Ricordo come a Malmantile, nella cucina che era stata di uno di loro, scoprimmo un tavolo così grande da riempirla tutta. Generazioni di Terzani vi si erano sedute ai pasti, ma quel tavolo dalle dimensioni bibliche non poteva essere entrato dalla minuscola porticina di casa: ci era stato murato dentro! Come se nessuno di loro avesse mai osato sperare di poter cambiar casa, un giorno.

Ma i tempi mutarono e ai primi del Novecento Livio Terzani, il nonno di Tiziano, smise di fare lo scalpellino, si trasferì a Firenze e divenne muratore. Con l’Eleonora, fiorentina, mise su casa e famiglia in via Pisana 153, nel quartiere popolare di Monticelli. Da grandi, i loro tre figli maschi si rannicchiarono con le loro spose nell’immediato vicinato per stare vicini e darsi una mano a vicenda. A tre case di distanza da quella dei nonni infatti, al primo piano di via Pisana 147, andò a stare il maggiore, Gerardo, artigiano e meccanico di automobili, con la bella moglie Lina Venturi, dai capelli neri corvini e la carnagione bianca come il latte, nata “all’ombra del Cupolone”, come teneva a ricordare, e lì nel 1938 nacque Tiziano. Fu la zia Annetta, una zitella intelligente rimasta a vivere con i genitori, a trovare al neonato il nome, nome al quale da grande lui tenne tanto: Tiziano, un nome veneziano mai sentito a Firenze, nome di viaggiatori ed esploratori dell’Asia.

In casa, nel salottino di passo col tavolo da pranzo quadrato e qualche bel mobile scuro, spiccava una mezza parete tappezzata di paesaggi a olio. Piccoli e poetici quelli di Gerardo, attraversati da un fiume possente, ampio e argenteo che scorreva via lontano quelli dipinti da Tiziano. Era il fiume che lo avrebbe portato verso il suo futuro? Un futuro ancora tutto da scoprire, ma che già da ragazzo lo attirava, lo risucchiava.

Un grosso cruccio invece era che in tutta la casa non ci fosse un libro, a parte quelli scolastici, con cui aprirsi gli orizzonti. A questo rimediò da solo nel corso degli anni facendosi una biblioteca di migliaia di volumi, soprattutto sull’Asia, oggi custoditi alla Fondazione Cini di Venezia.

La cucina, al cui tavolo di marmo Tiziano aveva studiato nel periodo scolastico, guardava sulla collina di Bellosguardo ed era inondata di sole. E poco importava che l’unica camera con il grande letto matrimoniale e, accanto quello stretto in cui dormiva Tiziano, si affacciasse sulla rumorosa via Pisana. Tutta la casa era così linda e accogliente, così odorosa delle saponette Lux che la Lina nascondeva nei cassetti, o del buon sugo che bolliva in un tegame, che quando d’estate Folco e Saskia tornavano dall’Asia e passavano qualche giorno con i nonni in via Pisana, quella per loro era “l’estasi”.

"Vivere per amarti" aveva scritto Gerardo alla Lina su una foto che lo ritraeva: un bel moretto in camicia bianca e cravatta, seduto su un sasso in Arno. La sposò appena in tempo per salvarla dalla tisi, di cui pochi anni dopo il piccolo Tiziano vide morire il nonno e le due giovanissime zie, sorelle della mamma. Fu allora che nonna Elisa, rimasta sola, andò a vivere con loro dormendo nel letto che Gerardo le preparava ogni sera dietro a un paravento in salotto. C’erano poi state quelle penose volte in cui doveva accompagnare la mamma al Monte di Pietà per “mettere in gobbo” – pignorare – le lenzuola del corredo quando la paga di Gerardo non bastava per arrivare in fondo al mese.

"Quello era il mondo dell’infanzia al quale ero affezionatissimo", Tiziano scrisse in seguito, "ma dalla cui miseria volevo scappare il più lontano possibile".

Fiero d’essere fiorentino, d’essere italiano, Tiziano era ugualmente a suo agio anche nel resto del mondo. In Africa come in America e nella vastità dell’Asia non viaggiava mai da turista o uomo d’affari. Viaggiava in cerca di idee nuove e di ispirazioni diverse da portare con sé in Italia quando ritornava a casa.

(Prefazione Terzani

da Tiziano Terzani mi disse

di Jacopo Storni)

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