Sabato 27 Luglio 2024
ANDREA MARTINI
Magazine

Festival di Berlino, caccia a Dostoevskij. La tv dei D’Innocenzo è cinema dell’oscurità

Girata in pellicola, ecco la prima serie dei gemelli registi. Realizzata per Sky. Protagonisti un serial killer e un detective dall’anima prosciugata: un grande Timi

Filippo Timi (49 anni) in Dostoevskij

Filippo Timi (49 anni) in Dostoevskij

Berlino, 19 febbraio 2024 – La prima serie tv dei fratelli D’Innocenzo – prodotto Sky che passerà nelle sale cinematografiche – è anche il loro primo incontro con la pellicola. Può apparire contraddittorio ma le sei puntate di Dostoevskij, mostrate ieri in anteprima alla Berlinale (dove i cineasti romani hanno presentato negli anni scorsi con con successo La terra dell’abbastanza e Favolacce) sono più intrinsecamente cinematografiche dei loro film precedenti.

I primi gemelli del cinema italiano hanno saputo uscire dal solco tracciato, evitando di rifare se stessi; hanno scritto una sceneggiatura puntigliosa, essenziale, efficace nei dialoghi capace di approfondire il carattere del protagonista: il poliziotto Enzo Vitello, uomo dall’oscuro passato, sofferente nell’anima e nel corpo, affetto da una fragilità profonda anche se nascosta. All’acme di una crisi che sembra irrevocabile viene richiamato all’ordine dall’ennesimo efferato delitto di un serial killer, soprannominato Dostoevskij per il tono farneticante su morte, colpa ed espiazione degli scritti che lascia accanto al corpo delle vittime.

La forza della serie sta nel dilatare il ritmo dell’inchiesta, tenuta per un po’ sullo sfondo, e nell’approfondire il tortuoso percorso dell’uomo, prosciugato d’ogni speranza, rabbioso, incapace di comunicare con una figlia adolescente abbandonata se stessa. Il tema non è nuovo: la malinconia estrema del detective a cui viene in soccorso l’obbligo del confronto con il misterioso colpevole. Due lati di uno specchio destinato ad andare in frantumi.

Agli appassionati verrà in mente True Detective, tanto più che i fratelli D’Innocenzo sono stati abilissimi nel trovare la terra di nessuno, teoria di luoghi abbandonati da dio e dagli uomini, dove ricreare la loro personale Louisiana laziale, in cui l’abiezione degli uomini confina con le colline d’immondizia e di detriti. Solo quando lo spettatore sente il peso dell’atmosfera e il senso dell’abbandono patito dal poliziotto la vera inchiesta prende il via. Vitello percorre sentieri insoliti che lo obbligano a confrontarsi col proprio passato e perfino a tradire i colleghi: i soli che possono però condurlo all’uscita del labirinto.

All’incontro stampa a Berlino le voci di Fabio e Damiano D’Innocenzo si confondono e il pensiero è unico: "La vita di Enzo Vitello è stato il nostro punto di vista. Il suo inverno è la ragione prima del racconto, tanto che non solo è inverno tutto ciò che lo circonda, ma abbiamo deciso di girare in inverno perché la stagione si rifletta nel ghiaccio dell’animo. Vitello è un albero secco, un uomo che ha rinunziato a se stesso, abituato alla sofferenza, assuefatto ai farmaci, sembra spengersi a poco a poco. Abbiamo pensato a Filippo Timi da subito, abbiamo intercettato in lui la malinconia del protagonista, il solo che poteva indossarla sentendosi a proprio agio".

Film sull’oscurità Dostoevskij lascia socchiusa la porta del cambiamento, non tanto per la logica della serie, quanto perché anche la sofferenza ha dei limiti di tollerabilità. Non c’è d’altronde condanna perché non c’è giudizio. Non c’è spazio per il giudizio perché nessuno è indenne dalla malattia. Una serie come Dostoevskij non era pensabile senza interpreti che facessero uso solo del proprio mestiere. Filippo Timi è un interprete versatile e sensibile, uno dei pochi nostri attori in grado di passare dal teatro al cinema e alla televisione (basta pensare a una comedy come Barlume) offrendosi sempre generosamente in una sintesi di corpo e spirito. Lo fa sul palcoscenico con i personaggi ambigui di Shakespeare, lo fa con altrettanta maestria qui donando a Enzo Vitello una verità unica: quando urla le invettive del mestiere le sue grida arrivano prima al cuore che all’udito.

“In cielo un temporale feroce come un litigio tra fratelli. Quando ho letto questa frase che è solo un passaggio della sceneggiatura mi sono subito messo all’ascolto del personaggio e empaticamente l’ho sentito subito mio", dice Timi. Una sensibilità contagiosa di cui hanno usufruito con profitto sia Carlotta Gamba figlia senza padre sia Federico Vanni brillante nel ruolo di capodetective ombroso al punto giusto, anche se amico.