Elton John ci ha messo cinque anni: in confronto appaiono una bazzecola i mille giorni (di lui e di noi) che Claudio Baglioni impiegherà, da oggi al 2026, per congedarsi dal pubblico. Annunciare l’addio, comunicare urbi et orbi il ritiro dalle scene e nel frattempo però impegnarsi in un infinito ultimo tour è ormai una moda consolidata nello splendido mondo del pop. Nostalgico, melanconico, mai così sentimentale, il valzer degli addii è semplicemente efficacissimo ai fini di convincere a partecipare al proprio show il maggior numero possibile di fan.

Ci sta però, conoscendo (da circa sessant’anni) l’esondante Baglioni, che a dettare le farraginose regole d’ingaggio del “giro d’onore“ del divo Claudio non sia l’avidità di sold out ma la voglia sincera, il folle desiderio di salutare uno a uno coloro che lo hanno amato, generazione dopo generazione, dalla Maglietta fina alla solidarietà ai migranti di O’ Scià al Sanremo con Favino e i “Soldi” di Mahmood.
Il lungo addio servirà a diluire il dispiacere e l’ansia dei baglioniani: starà lì a dimostrare che ancora non è finita un’epoca, e con essa ancora non sono finiti – purtroppo? per fortuna? x? – i piccoli grandi amori, i passerotti e i poster, le cene a prezzo fisso seduti accanto ad un dolore, le strade facendo e i ganci in mezzo al cielo, i legnetti di cremino da succhiare e le stesse mie tristi speranze. Non mancherà il 72enne Baglioni perché continuerà a esserci – al top della forma e della performance, ha detto di sé ieri – per circa tre anni, e poi si sa, Rick Moody insegna: la musica è uno dei pochi ambiti dell’attività umana in cui è probabile che la parola anima, persino tra i laici, regni incontrastata, e l’anima romantica e idealista del patrimonio popolare Baglioni risuona inestinguibile nell’esistenza dei suoi fan. Un’anima forse vintage declinata ristretta nel me e te, sabato pomeriggio, ma certo amorosa e salvifica – così lontana e diversa dall’avvelenato caos di oggi.