Venerdì 14 Giugno 2024
Marion Guglielmetti
Magazine

Dall’Italia al Giappone, andata e ritorno. Il mondo dei manga di Caterina Rocchi: “Mi sono sentita capita”

Già da bambina trascorreva il suo tempo tra fogli di carta e matite colorate, una predisposizione che si è trasformata presto in passione e in un lavoro. Oggi è direttrice (dopo averla fondata) della Lucca Manga School

Caterina Rocchi, fondatrice e direttrice della Lucca Manga School (Credits Luigi Rizzo)

Caterina Rocchi, fondatrice e direttrice della Lucca Manga School (Credits Luigi Rizzo)

Milano, 22 maggio 2024 – ‘Pane e manga’. E abbiamo detto tutto. Il nickname scelto da Caterina Rocchi, disegnatrice trentenne e fondatrice (ma anche direttrice) della Lucca Manga School, rende perfettamente l’idea di quello che è la sua vita. Già da bambina trascorreva il suo tempo tra fogli di carta e matite colorate. Una predisposizione che si è trasformata presto in passione. Così è sbocciato un talento, soprattutto quando ha conosciuto il mondo dei manga.

Studia giapponese, fa la spola tra l’Italia e il Paese del Sol levante, supportata dai genitori che non provano a farle cambiare idea. A differenza di tanti adulti che invece restano perplessi di fronte alle sue scelte o dei coetanei che considerano il disegno una stranezza e la emarginavano. A Tokyo, Caterina ha l’opportunità di imparare da artisti giapponesi di primo piano, affinando le sue abilità e sviluppando uno stile del tutto originale. Attraverso il duro lavoro e un sincero amore per quello che fa, inizia a ottenere riconoscimenti e pubblica alcuni suoi disegni in Giappone. Non solo, ha l’opportunità di affiancare un mangaka nel ruolo di assistente e un altro in quello di assistente capo.

Collabora con aziende leader del settore, stringe partnership con marchi rinomati, partecipa a fiere nazionali e scrive libri. Fino a quello che oggi considera il suo più grande vanto e motivo di orgoglio: la Lucca Manga School. Una realtà molto inclusiva dal momento che è aperta a tutti gli studenti senza distinzione di età, genere e abilità psicomotorie. “Per me - sottolinea - l’importante è che gli iscritti imparino, facciano qualcosa che piace e incontrino persone in grado di comprenderli. Quando parliamo di arte, tocchiamo qualcosa di molto personale che va sempre rispettato". Una scuola che in 14 anni è diventata un punto di riferimento per gli amanti del disegno giapponese e che ogni anno presenta interessanti novità. “Stiamo per lanciare - annuncia - un corso per editor, unico in Italia. Perché non si finisce mai di crescere e di imparare”.

Caterina Rocchi, fondatrice e direttrice della Lucca Manga School (Credits Luigi Rizzo)
Caterina Rocchi, fondatrice e direttrice della Lucca Manga School (Credits Luigi Rizzo)

Quando nasce la passione per il disegno?

“Ci sono nata. Fin da bambina ovunque andassi avevo il mio zainetto con fogli, matite e colori. Non potevo farne a meno”.

E per i fumetti?

“I fumetti sono state le mie prime letture. I preferiti erano Topolino, Lupo Alberto – anche se non capivo perché voleva restare sempre solo con la gallinella (ride, ndr) – e Dylan Dog”.

Quando sono arrivati i manga?

“Un giorno, per caso, quando frequentavo le elementari. Mentre ero in edicola, notai un libricino che in copertina aveva una ragazza con la divisa scolastica giapponese e ne rimasi subito incuriosita”.

Lo acquistò?

“Sì ed è stato il primo manga che ho letto. Si trattava del quarto numero della serie di 'Peach Girl' (manga shojo giapponese creato da Miwa Ueda, ndr), che in Italia è piuttosto famoso, ma per assurdo in Giappone è praticamente sconosciuto”.

Da cosa è rimasta colpita?

“Innanzitutto dal fatto che i personaggi femminili erano le protagoniste. Poi dalla storia, semplice, a tratti quasi banale, ma che poteva essere la mia o quella di qualsiasi mia compagna di classe”.

Aspetti che non aveva mai trovato prima?

“Topolino o Lupo Alberto, per esempio, sono degli adulti con una casa, una fidanzata, nessun genitore a cui rispondere. I personaggi del manga erano più simili a me. E mi sono sentita capita, invece di dover essere sempre io fare lo sforzo di immedesimarmi in qualcuno”.

Vivere una storia attraverso gli occhi del protagonista...

“È uno dei punti cardine del manga. Ci si sente coinvolti, perché c'è una forte immedesimazione nei personaggi. Questo anche grazie al fatto che si possono leggere i loro pensieri (i baloon, ndr), utili a capire più a fondo la loro psicologia e che ci permettono di vivere più intensamente le loro emozioni. Fondamentali anche gli sfondi, utilizzati in maniera emotiva invece che descrittiva”.

Dopo il primo manga?

“Non ho più smesso. Quando ho terminato di leggerlo, mi sono detta: 'voglio fare questo, voglio fare una cosa così”.

Così come?

“Così come un manga giapponese. Ma in Italia era praticamente impossibile. All'inizio era complicato trovare le serie a e ricevere dei consigli da qualcuno che fosse specializzato nell'argomento. Fortunatamente, alle medie, la mia compagna di banco mi passava Naruto (manga scritto e disegnato da Masashi Kishimoto, ndr)... Ma non mi bastava. Finché, un giorno, ho detto ai miei genitori quale fosse il mio desiderio: 'voglio fare la mangaka'”.

Risposta?

"Dopo aver spiegato cosa fosse una mangaka (autore di fumetti con caratteristiche manga, ndr), la loro reazione è stata: 'Bene, inizia studiare il giapponese, perché il disegno manga si impara in Giappone e bisogna andare lì'. Non finirò mai di ringraziare mia madre e mio padre per il supporto che mi hanno sempre dato. Se oggi sono quella che sono, lo devo anche a loro”.

E ha iniziato a studiare

“Avevo 13 anni e a 14 sono andata in Giappone per la prima volta con mia madre. Lei studiava con me, del resto per lei era solo l'ottava lingua straniera…Lei mi ha accompagnata le prime sette volte, poi ho continuato da sola a volare a Tokyo almeno una volta l’anno ma erano già viaggi di lavoro”.

Nel frattempo frequentava il liceo artistico

"Sì, una scuola dove ho avuto la possibilità di imparare molto, ma niente manga. Anzi, quando qualche insegnante ha saputo che li leggevo, ha iniziato ad abbassarmi i voti dicendo che c'era troppo di quella tecnica nei miei disegni”.

Riusciva a fare tutto?

“Finita la scuola partivo per il Giappone per due mesi, dove studiavo la lingua e il disegno. Quando c'è una passione vera, certi ritmi non pesano. Ero (e sono) molto ossessionata e non vedevo e chiedevo altro: niente vestiti alla moda, niente motorino, niente serate in discoteca. Volevo solo disegnare”.

E i suoi compagni di classe?

"A scuola sono sempre stata considerata una sfigata, della peggio specie, con annessi episodi di bullismo. Per me era difficile fare amicizia o trovare persone che avessero la flessibilità mentale di guardare al di là di quella che poteva sembrare un'iniziale stranezza”.

Caterina Rocchi, fondatrice e direttrice della Lucca Manga School (Credits Luigi Rizzo)
Caterina Rocchi, fondatrice e direttrice della Lucca Manga School (Credits Luigi Rizzo)

A 17 anni cos'è successo?

“Ho invitato uno dei miei maestri giapponesi in Italia, durante le vacanze invernali. Dato che avrei fatto un corso con lui, ho pensato che avrei potuto estendere questa possibilità anche ad altre persone. Così, alla fine, ci siamo ritrovati in cinque. Quella piccola classe è stata l'inizio della Lucca Manga School”.

Come si è evoluto il percorso?

"Quell'esperienza estemporanea era piaciuta molto, così abbiamo pensato di riproporla una volta all'anno. Prima con uno spazio a Lucca Comics poi...poi la situazione ci è sfuggita di mano ed eccoci qui con una vera scuola, più di 200 corsi l'anno e 1300 studenti”.

Qual è l'offerta formativa?

“Corsi brevi, biennali, online o in sede, per tutte le età: dagli 8 anni in su. E c'è anche la possibilità di alloggiare nella scuola con la formula Homestay (per gli studenti dai 14 anni in su, ndr). Gli studenti possono vivere insieme, con gli insegnanti e lo staff, condividendo lezioni, pasti e momenti liberi”.

Gli insegnanti?

“Principalmente italiani, soprattutto per una questione di traduzione. Ma tutti altamente qualificati e aggiornati grazie a corsi con insegnanti giapponesi. Poi, c'è un parterre di maestri nipponici che vengono alla scuola una volta all'anno”.

Lei insegna?

“Insegnavo, ma il mio ruolo di direttrice è diventato sempre più impegnativo e non riuscirei a dedicarmi agli studenti come vorrei. Ho fondato la scuola a 17 anni e a 19, il mio maestro storico, Matsuda Ikuo mi ha detto: 'Sono venuto a fare i corsi, hai visto come funzionano, adesso quelli base li fai tu e per quelli più difficili mi chiami'. Potevo solo dire sì, perché in Giappone, nel rapporto insegnante-studente non sono previsti i 'no' e neppure i 'forse'”.

Un'insegnante così giovane, è stato difficile?

“Non ho mai faticato ad impormi, anche con studenti molto più grandi di me. Pensi che nella prima classe che ho avuto, mi sono trovata due ragazzi di trent'anni ed erano i migliori: rispettosi, precisi e silenziosi”.

Gli studenti arrivano preparati?

“No, ci sono persone che non hanno mai nemmeno provato a disegnare. Per questo le classi sono composte da massimo dieci persone. In questo modo l'insegnante può seguire ogni studente: il tema è lo stesso per tutti ma viene lavorato su diversi livelli, in base alla preparazione di ognuno”.

Gestire una scuola è una bella responsabilità

“Assolutamente sì, essere la fonte primaria di guadagno per delle persone è pesante. Se faccio un disastro non ci rimetto solo io ma anche tutte le persone che dipendono da me e le loro famiglie di conseguenza. Ma essere direttrice mi piace, perché attraverso il mio lavoro posso aiutare tantissime categorie con un solo gesto. Gli insegnanti, che lavorano in maniera flessibile mantenendo il tempo di creare le proprie opere, gli studenti che hanno l’occasione di studiare le vere tecniche giapponesi senza dover andare fino in Giappone come ho fatto io, i genitori che vedono i propri figli aprirsi e fare nuove conoscenze”.

Lei cosa preferisce disegnare?

“Da bambina disegnavo solo gatti e cavalli, soprattutto My Little Pony. Poi, quando ho conosciuto i manga, sono passata alle persone. Oggi mi piace disegnare le ragazze e i loro vestiti, che hanno soprattutto uno stile minimale e molto femminile. Lo stesso a cui ho remato contro per tanto tempo. Cercavo di tirare fuori spigoli che non mi appartenevano, ma quando ho lasciato la presa, ho trovato me stessa e il mio spazio sicuro”.

La sua fase preferita?

“I colori perché posso sbizzarrirmi come voglio. Mentre quando disegno un corpo, l'anatomia è quella e c'è meno creatività”.

Meglio carta e matita o la tavoletta grafica?

“Con il tablet c'è più libertà di sperimentare, soprattutto con i colori. C'è anche molto meno spreco. Non le nascondo che a volte sono stata restia ad usare degli acquarelli perché così belli e preziosi. Ma consiglio sempre di continuare ad utilizzare carta e matita per una questione di memoria della mano. Per questo ai genitori suggeriamo di non regalare il tablet ai figli troppo presto”.

Cos'è per lei il disegno?

“Un mezzo di comunicazione. Il disegno deve trasmettere emozioni e sensazioni a chi lo guarda. Deve essere una sorta di conversazione tra lo spettatore e l'opera”.

Perché oggi c'è questo boom dei manga in Italia?

"L’animazione e i servizi di streaming hanno tenuto compagnia a molti durante la pandemia Covid. In casa, terminate le classiche serie tv, molti si sono ritrovati a guardare e scoprire qualche serie giapponese. E ne sono rimasti affascinati. Poi, dagli anime hanno scoperto i manga. Ma c'è anche chi aveva una passione da tempo e non era mai riuscito a farla emergere, perché non trovava grandi possibilità e opportunità”.

Cosa consiglia a chi vuole fare questo lavoro?

“Bisogna studiare tanto, perché non ci rendiamo conto di quanto lavoro c'è dietro a un fumetto. Per disegnare manga bisogna conoscere l'anatomia, la prospettiva, la compensazione della tavola, la struttura delle storia. Non si deve saper scrivere o disegnare, si devono saper fare entrambe le cose”.

E chi lo fa come hobby?

“Trovo sia bellissimo, ma deve essere vissuto come tale. Purtroppo, invece, abbiamo questo concetto tossico di monetizzare le nostre passioni: un hobby non deve diventare per forza un lavoro”.

C'è qualcosa di particolare a cui sta lavorando in questo momento?

“Ultimamente sono stata in Corea per creare contatti utili per i nostri corsi di webtoon, ovvero il fumetto per cellulare (a scorrimento verticale, fruibile dagli smartphone, ndr). Poi, ci stiamo preparando per i corsi estivi, che inizieranno a breve”.

Novità in vista?

“Stiamo per lanciare un corso per editori. Sì, perché abbiamo bisogno di figure professionali che affianchino gli artisti e i fumettisti nel loro lavoro. Sarebbe il primo in Italia e non possiamo che esserne fieri”.