Giovedì 2 Maggio 2024

La divisa per emanciparsi. Arabo-israeliani nel limbo: "Siamo malvisti da tutti"

I soldati musulmani: anche se militari non abbiamo rifugi nei nostri villaggi

Tel Aviv, 25 aprile 2024 – Lunedì mattina. Beit Lahya, nel nord della striscia di Gaza. Un tiratore scelto palestinese, armato di un mitragliatore ad alta precisione, colpisce con un colpo al cuore un militare israeliano dopo aver frantumato il suo corpetto difensivo. Ha trovato così la morte il sergente Salem Alkreshat, 42 anni, un beduino del Negev che fungeva da scout in una brigata israeliana. Il suo incarico era di vigilare sulla incolumità delle forze impegnate sul terreno, di segnalare possibili agguati, di scorgere per tempo ordigni nascosti da Hamas.

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Nel suo villaggio di Abu Rubaya, a est di Beer Sheva, Alkreshat ha lasciato 12 orfani, fra cui una bambina di due settimane. "Era un eroe", ha detto ai media israeliani il cugino, Nafez. "Aveva salvato la vita di molti commilitoni". Un altro soldato è caduto così a Gaza in un conflitto senza chiare linee di demarcazione: un militare di prima linea che indossava la divisa di Zahal, e che pure era musulmano. Nel suo villaggio, dove non pochi abitanti servono nell’esercito, alle ultime elezioni il primo partito era risultato il movimento islamico Raam.

Il sergente beduino Salem Alkreshat
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Dal 2015 Hamas tiene prigioniero a Gaza un giovane beduino, Hisham a-Sayed, e a nulla sono valse le implorazioni dei dirigenti della sua comunità. Il 7 ottobre, con l’attacco sferrato nel Negev, Hamas ha ucciso 24 beduini che erano impegnati in lavori agricoli nei Kibbutzim. Altri sette, fra cui una ragazza, sono stati presi prigionieri. "Sono stati trattati come tutti gli altri israeliani" hanno riferito i loro congiunti. "Per Hamas non ha fatto alcuna differenza il fatto che fossero musulmani". Dopo il 7 ottobre il numero dei giovani beduini che si sono offerti volontari nell’esercito israeliano è cresciuto sensibilmente.

A spingerli all’arruolamento vi è fra l’altro la speranza di una emancipazione sociale. "Anche se facciamo il militare, i villaggi dove abitano le nostre famiglie non sono riconosciuti dalle autorità. Nelle nostre case non abbiamo nemmeno i rifugi " ha lamentato Nafez. Non solo: un suo figlio, che presta servizio di leva, ha ricevuto dalle autorità un ordine di demolizione della casa che sta costruendo. "La demolizione delle nostre case deve cessare. Non è giusto che i nostri figli reagiscano con paura quando vedono una volante della polizia".

In una recente cerimonia militare il capo di Stato maggiore, gen. Herzi Halevi, ha affermato che l’esercito dedica energie particolari per includere nelle sue fila non solo i drusi (che comunque sono arruolati per legge, e rivestono anche importanti incarichi di comando), ma anche beduini e musulmani israeliani, che sono invece volontari. "Lo facciamo – ha aggiunto Halevi – in primo luogo per accrescere la coesione sociale in Israele". A quanto risulta, i musulmani israeliani inquadrati nell’esercito sono 350, su una popolazione di circa 1,8 milioni di persone.

Alcuni di loro hanno accettato di parlare con la televisione pubblica israeliana Kan. "Sono rimasto scosso dal 7 ottobre", ha detto Yihia M., un abitante della città di Um el-Fahem inquadrato in una brigata di fanteria. "Ho fatto un periodo di riserva di 60 giorni in cui ho documentato le stragi compiute da Hamas". Un suo compagno, Ahmed M., pur convinto di aver compiuto una scelta di vita giusta arruolandosi in un’altra brigata di fanteria, ha ammesso che quando torna in divisa nella sua città prova un senso di disagio ed è seguito da sguardi di disapprovazione. L’arruolamento dei giovani musulmani da volontari, ha spiegato un ufficiale, viene visto come uno strumento di avanzamento sociale. In prospettiva offre loro migliori possibilità di inserimento nel mondo degli studi e del lavoro. Ma secondo Yihia M. nella società ebraica gli stereotipi nei confronti dei musulmani sono comunque duri a morire: "Quando mi tolgo la divisa – ammette – divento come trasparente".

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