Lunedì 29 Aprile 2024

Zelensky disperato, ora parla di sconfitta. Nelli Feroci: non è la resa. "Ma considera perso l’Est"

Il presidente ucraino ribadisce la richiesta di armi agli alleati occidentali. "Stiamo finendo i missili, le bombe di Mosca sono devastanti". L’ambasciatore: la conferenza di pace in Svizzera non ha prospettive

Roma, 7 aprile 2024 – Il pessimismo della ragione induce Volodymyr Zelensky a difendere il difendibile, rinunciando ai territori persi. È per mantenere la sovranità su quella parte di Ucraina non ancora occupata dai russi che il leader di Kiev si affida agli aiuti degli alleati occidentali. La pensa così l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell’Istituto Affari internazionali (Iai).

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (Ansa)
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (Ansa)

Ambasciatore, ieri l’ennesimo appello disperato di Zelensky, che invoca aiuti militari. Gli alleati sono pronti a fornire contributi immediati?

"Evidentemente ci sono difficoltà oggettive. Lo dimostrano proprio le reiterate richieste di Kiev. Il problema principale riguarda quello che finora è stato il principale fornitore di armi, cioè gli Stati Uniti. I repubblicani, infatti, stanno bloccando la decisione sul relativo stanziamento al Congresso".

È una questione di politica interna o c’entra la simpatia di Trump per Putin?

"Prevalentemente di politica interna. Bloccare la decisione sugli aiuti all’Ucraina collegandola a impegni sul contrasto dell’immigrazione dal Messico è stato strumentale. Lo scopo? Mettere in difficoltà Biden in vista delle prossime presidenziali. Se anche gli aiuti venissero sbloccati in tempi ragionevolmente brevi, occorrerà altro tempo per inviare le armi a Kiev e addestrare gli ucraini a utilizzarli, soprattutto per quanto riguarda i Patriot".

Perché l’Europa non supplisce?

"Al di là delle questioni politiche e finanziarie, in Europa scarseggiano proiettili di artiglieria, missili e sistemi anti-aerei".

Veniamo alla situazione sul campo: i russi guadagnano terreno?

"Sì, ma l’avanzamento lungo l’estesa linea del fronte è piuttosto modesto. D’altra parte, assistiamo a un arretramento delle linee ucraine che, fatte salve rare incursioni con aerei e missili, ormai sono sulla difensiva. Fonti accreditate ritengono possibile l’ipotesi di uno sfondamento russo nelle prossime settimane".

Zelensky ha rilanciato l’idea di una conferenza di pace in Svizzera dicendo che nei prossimi giorni sarà stabilita la data. È pronto a negoziare?

"Sì, ma alle sue condizioni. Quindi temo che si tratti di una iniziativa con poche prospettive. Tanto più che la Federazione Russa non è stata invitata a questa conferenza".

E Putin in questo momento avrebbe convenienza a trattare?

"Putin ha tutto l’interesse ad attendere novembre, quando le presidenziali americane potrebbero riportare Trump alla Casa Bianca. Quindi, allo stato sono pessimista sulla possibilità di avvio di un negoziato".

Ma in queste condizioni Zelensky non farebbe meglio ad affidarsi alla diplomazia per non perdere altro terreno?

"Dipende dalla base negoziale. Il presidente ucraino ha sempre ribadito che non intende rinunciare ai territori invasi dai russi. E Mosca, d’altra parte, non potrebbe accontentarsi di niente di meno del riconoscimento de iure della situazione sul terreno".

Tuttavia Zelensky è passato dalla retorica della vittoria agli appelli disperati. Come si traduce il messaggio politico nella lingua della diplomazia?

"Le sue parole non sono la premessa per una resa, ma una richiesta all’Occidente affinché lo aiuti a difendere il difendibile, cioè la parte dell’Ucraina non ancora occupata dai russi".

Qual è invece l’obiettivo dell’Occidente?

"Quello di sempre, cioè convincere Putin a venire a patti, costringerlo a una soluzione politico-diplomatica. Peraltro, dalla riunione ministeriale della Nato è emersa una novità importante".

Quale?

"Il segretario generale Stoltenberg ha proposto di affidare all’Alleanza Atlantica il coordinamento degli aiuti militari all’Ucraina, finora responsabilità del cosiddetto formato Ramstein, che era presieduto dal segretario alla Difesa americano. La ragione? Il rischio di una prossima nuova Amministrazione americana meno disponibile ad impegnarsi a sostegno dell’Ucraina. Da qui l’idea di un trasferimento alla Nato di questa responsabilità. Gli aiuti continuerebbero comunque ad essere decisi e messi a disposizone dai singoli Paesi membri della Alleanza".

L’ipotesi di truppe occidentali sul terreno è realistica?

"No, lo confermano le reazioni dei principali alleati della Francia, da cui arriva questa suggestione. Italia e Germania, infatti, hanno ribadito la linea del massimo dell’assistenza all’Ucraina ma senza coinvolgimento diretto".

Eppure il Cremlino parla di uno scontro diretto già in atto tra Nato e Russia.

"Propaganda di regime. Putin, tutto compreso, è un politico razionale e non credo che abbia interesse ad attaccare Paesi dell’Alleanza Atlantica. Sa bene cosa rischia. Non ci sono pericoli nel breve termine".

La situazione in Medio Oriente influisce anche sul conflitto ucraino?

"Domanda complessa. Tenderei a escludere un coinvolgimento diretto di Mosca nell’attacco del 7 ottobre, ma se c’è un Paese che ha beneficiato del raid di Hamas, è proprio la Russia. Per qualche mese, infatti, i media occidentali, si sono dimenticati della guerra in Ucraina. Inoltre, sullo scacchiere mediorientale si sono riprodotti grosso modo gli stessi schieramenti geopolitici che si fronteggiano nell’Est europeo".

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