Giovedì 2 Maggio 2024

Sfugge ai jihadisti e torna in Giappone. Insulti sul web: "Hai disturbato la società"

Il ritorno in Giappone del giornalista Jumpei Yasuda è stato decisamente amaro. Liberato dopo tre anni di prigionia, è stato duramente criticato sui social: "Dovresti vergognarti, sei un cattivo cittadino. Sei voluto andare in Siria, cosa ti aspettavi?"

Jumpei Yasuda con la moglie (Ansa)

Jumpei Yasuda con la moglie (Ansa)

Tokyo, 26 ottobre 2018. È scampato ai tagliagole islamici, ma quando è tornato a casa è stato accolto da uno tsunami di insulti online. Il rientro in Giappone del giornalista Jumpei Yasuda è stato decisamente amaro. Il reporter, dopo tre anni di prigionia in Siria, è stato liberato il 23 ottobre dietro il pagamento di 3 milioni di dollari, anche se il governo nipponico nega di essere sceso a patti con i jihadisti di Al Nusra. Dopo essersi riabbracciato con la moglie, la felicità del freelance però è durata poco. Sul web le critiche hanno cominciato a piovere. “Hai recato disturbo alla società, dovresti vergognarti”, si legge sui social. “Sei un cattivo cittadino”, attacca un altro utente. “Sei voluto andare in Siria di proposito, cosa ti aspettavi?”.

Anche i genitori di Yasuda sono finiti nel mirino, dopo un'intervista in tv. “Dovrebbero scusarsi per il disagio causato a tutta la comunità”, hanno scritto alcuni telespettatori all'emittente Nhk. A molti non è bastato che il giornalista abbia chiesto perdono prima di tornare in Giappone, davanti alle telecamere appena arrivato e anche in un messaggio letto dalla moglie. Nel 2004 Yasuda era già stato rapito in Iraq, fatto che non lo ha aiutato ad accattivarsi le simpatie dei più intransigenti. “Il governo ti aveva chiesto espressamente di evitare i luoghi pericolosi. Tu, invece, cosa hai fatto? Lo fai apposta, non ti importa di nulla”, hanno scritto diversi utenti.

Non è comunque il primo caso di ostaggio nipponico che viene preso a male parole dopo essere riuscito a liberarsi. Nel 2004, ad esempio, tre prigionieri del Sol Levante vennero recuperati in Iraq. Quando arrivarono in aeroporto furono accolti da una folla con enormi cartelli su cui c'era scritto: “È solo colpa vostra, dovevate morire”. Il cyberlinciaggio nei loro confronti è durato una decina di anni. Per molti giapponesi è una questione di 'jiko sekinin', ovvero di responsabilità personale. Chi non segue le regole e il buon senso merita di essere punito. “Lo so che può sembrare strano, ma – commenta Toshiro Terada, professore di filosofia alla Sophia University di Tokyo – molti nostri concittadini hanno questa mentalità. Hanno attribuito un significato distorto all'espressione 'jiko sekinin', che invece dovrebbe essere un ingrediente fondamentale del libero pensiero”.