Giovedì 25 Aprile 2024

Coronavirus e il destino di Wuhan, città fatale per il Dragone

Nel 1911 la rivolta contro la dinastia Qing partì da lì: un virus politico contagiò il Paese. Ora uno biologico mette a rischio la Cina globalizzata

Una donna si protegge dal contagio; dietro il ritratto di Mao (Ansa)

Una donna si protegge dal contagio; dietro il ritratto di Mao (Ansa)

Washington, 11 febbraio 2020 - Anche allora tutto cominciò a Wuhan. Era il 1911. Un piccolo reparto dell’esercito imperiale dà l’assalto e occupa una stazione di polizia. È l’inizio della fine della dinastia Qing che aveva dominato la Cina per quasi quattro secoli. Il virus della rivolta si espande rapidamente e tre mesi dopo l’impero diventa una repubblica. Non ancora la repubblica popolare, come oggi si definisce il regime comunista che di popolare, cioè rispettoso della volontà popolare, ha solo il nome. I successori di Mao, il grande timoniere, esercitano un potere altrettanto assoluto e tirannico pur nella sconfessione dei dogmi del marx-leninismo. È il paradosso cinese. Fu creato – ormai è storia – da Deng Xiaoping trent’anni fa. Un revisionismo ben diverso da quello velleitario e suicida di Gorbaciov. La Cina fece un poderoso balzo in avanti. L’Urss si disintegrò.

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Ma ora un altro virus è partito da Wuhan. Biologico, non politico. Casuale dice il regime. Creato in laboratorio, sospetta Anthony S. Fauci, direttore del National Institute of Health, il più famoso immunologo americano. Arma biologica, secondo l’intelligence israeliana. In ogni caso non è in gioco solo la salute globalizzata. Può esserlo anche la sopravvivenza dell’ultimo grande totalitarismo. Da buon pragmatico il presidente Xi, a dispetto della promessa ‘trasparenza’, ha ordinato un rafforzamento dei controlli e della censura.

I sinologi comunque sono cauti. Ci vuol altro per liquidar il gigante asiatico. Anche perché i suoi interessi sono intrecciati con i nostri. Sempre per la globalizzazione. Dunque l’occidente dovrà guardarsi dal farsi prendere dalla schadenfreude, gioia maligna come dicono i tedeschi. Ma se non sconfitta alla svelta, vale a dire entro pochi mesi, l’emergenza sanitaria rischia di diventare emergenza politica oltre che economica. E allora sorge un altro paragone: con la Russia sovietica. Sino alla fine degli anni Ottanta l’Urss era l’altra superpotenza. Nucleare per di più. Eppure implose come un palloncino. E tornando a Wuhan un secolo e passa fa la rivolta non aveva più risalto di un piccolo ammutinamento in una lontana provincia. L’impero Qing era passato indenne attraverso guerre civili, ripetute sconfitte contro i giapponesi, il colonialismo degli europei. Come immaginare la sua caduta?

Solo tre anni prima Pu Yi era stato incoronato imperatore. Aveva due anni e dieci mesi. Chi non ricorda il film di Bernardo Bertolucci, intitolato appunto ’L’Ultimo Imperatore’? In una delle scene finali Pu Yi assiste all’umiliazione dei ‘controrivoluzionari’. È il 1967. Mao ha appena lanciato la rivoluzione culturale e il culto della (sua) personalità.

L’ex imperatore indossa la tuta grigia. Fa il giardiniere. Le guardie rosse lo trascinano in piazza insieme ad altri reprobi. Fra di essi il direttore della sua stessa prigione. Pu Yi ha 60 anni. Malfermo sulle gambe. Viene gettato a terra. Si rifugia nella Città Proibita, la sua ex residenza imperiale. Si mescola ai turisti. Incontra un bambino, il figlio di un custode, e gli confida di esser stato l’ultimo imperatore. Il bambino lo guarda incredulo. E lui allora ritrova sotto il trono una scatola con il grillo che gli era stato donato cinquantotto anni prima per la sua incoronazione. Così finiscono anche i grandi della terra. E Xi lo sa.