Trentasei giorni dopo l’inizio dell’offensiva ucraina nella regine russa di Kursk – che è arrivata a riguardare 1.200 chilometri quadrati di territorio – le truppe di Mosca avviano la prima vera offensiva tesa non a rallentare o bloccare la penetrazione nemica, ma a riprendere parte del territorio perso. Era fatale che succedesse, ed è successo due o tre settimane prima del previsto.
Secondo i blogger militari russi e altre fonti vicine a Mosca come il comandante della forza cecena Akhmat, Apti Alaudinov, le truppe di Putin, in particolare il 155° fanteria di Marina – sono riuscite ad attraversare il fiume Seym – i cui ponti e poi i pontoni mobili russi erano stati fatti saltare in aria dagli ucraini – e sono state impegnate in una offensiva verso est che avrebbe ripreso 60-90 chilometri quadrati di terreno e dieci villaggi, tra i quali Gordeevo, Vnezapnoie, Byarkovo, Viktorovka e 10 ottobre. Gli ucraini non confermano (lo fa il sito ucraino Deep State, solitamente piuttosto attendibile) ma gli scontri tra i marines russi del 155° e le unità ucraine nell’area (82° brigata aviotraportata, 23° brigata motorizzata, 255° reggimento d’assalto) sono si sono verificati. E così l’attacco russo su scala piuttosto vasta, dato che oltre al fronte est dell’area presa dagli ucraini, ha anche una direttrice da nord: i russi hanno mosso una colonna del 51° reggimento aviotrasportato con almeno 8 blindati, che è avanzato da Korenovo in direzione di Snagost, come dimostra una ripresa aerea da drone. Combattimenti sarebbero in corso fuori Snagost. Resta da vedere come proseguiranno gli scontri nell’area. Da notare che i ucraini non hanno scavato trincee a difesa né hanno piazzato “denti di drago“ (barriere antitank) o estesi campi minati a protezione delle zone conquistate. Questo significa che probabilmente vorranno tentare una difesa “dinamica“ e non statica, cencando di far manovrare le loro forze invece di intrappolarle in una guerra di posizione contro la quale i russi si sono mostrati ben equipaggiati grazie alla superiorità in termini di volume di fuoco di artiglieria, di superiorità aerea e anche di assoluta disponibilità a sacrificare migliaia di uomini per ottenere avanzate anche limitate.
Intanto il segretario di Stato americano, Antony Blinken, e il ministro degli Esteri britannico, David Lammy, sono giunti a Kiev per colloqui con i partner ucraini. Il presidente Volodymyr Zelensky ha chiesto loro "decisioni forti" sul tema dell’autorizzazione a Kiev all’uso di armi occidentali a lungo raggio in grado di colpire profondità la Russia. Secondo il britannico The Times il via libera all’utilizzo dei missili potrebbe arrivare antro alcune settimane. Per adesso i britannici hanno annunciato un nuovo pacchetto di aiuti militari da 700 milioni di euro. Come era prevedibile, il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha promesso "una risposta appropriata" se gli Usa revocheranno le restrizioni all’Ucraina sull’uso di missili a lungo raggio per colpire in profondità la Russia.
Ieri in occasione del Summit della Piattaforma di Crimea, una iniziativa diplomatica lanciata da Zelensky nel 2021, molti capi di Stato hanno riaffermato che la Crimea è e resta ucraina. Tra loro il presidente Macron e la premier Giorgia Meloni. Ma ancora più importante è la presa di posizione di un leader che ha l’ambizione di fare da “ponte“ tra Russia e Occidente, il turco Recep Tayyip Erdogan. "Ribadisco il nostro sostegno alla sovranità, all’integrità territoriale e all’indipendenza dell’Ucraina e lo ribadirò in eterno. La restituzione della Crimea all’Ucraina – ha detto ieri in un messaggio al summit della Piattaforma Crimea – è un atto necessario e dovuto, dettato dal diritto internazionale". Non era scontato lo dicesse.