Roma, 10 novembre 2020 - Donald Trump non molla. Il presidente Usa non solo continua a non riconosc ere la vittoria elettorale di Joe Biden, ma va alla battaglia legale su tutti i fronti per il riconteggio dei voti,. L'ultima denuncia è stata presentata in Pennsylvania, sostenendo che Filadelfia e Pittsburgh sono state inondate dai brogli: gli avvocati hanno chiesto un'ingiunzione di emergenza per impedire ai funzionari statali di certificare la vittoria di Biden nello Stato. Nel nuovo ricorso si accusano le autorità democratiche dello Stato di avere creato "un sistema illegale di voto a due livelli" che ha favorito in modo ingiusto il voto per posta.
Nel frattempo il procuratore generale degli Stati Uniti, Bill Barr, ha autorizzato i pubblici ministeri federali ad avviare indagini sulle presunte irregolarità nel voto. Barr, a lungo uno strenuo difensore dell'attuale presidente, ha spiegato che la sua mossa non significa che il ministero abbia in mano prove a sostegno della tesi della Casa Bianca, ma ha liberato i pubblici ministeri dalle restrizioni su indagini di questo tipo. Una scelta che ha avuto un'immediata ripercussione al ministero della Giustizia: subito dopo il suo annuncio, in segno di protesta, ha annunciato le sue dimissioni Richard Pilger, alto funzionario del Dipartimento di giustizia responsabile proprio delle indagini sui brogli elettorali. Pilger contesta a Barr di esser venuto meno alla "linea politica di non interferenza" segnata da quarant'anni nelle indagini sulle frodi elettorali. Le indagini sui brogli sono normalmente di competenza dei singoli Stati, che stabiliscono e controllano le proprie regole elettorali. La politica del Dipartimento di Giustizia è stata finora quella di evitare qualsiasi coinvolgimento federale fino a quando i conteggi dei voti non siano certificati e i riconteggi completati. Ma Barr ha detto ai procuratori che, "trattandosi di pratiche che non sono mai veloci", se trovano qualcosa che potrebbe invertire i risultati delle elezioni, devono aprire un'indagine.
Di fatto in tal modo Barr ha messo i procuratori federali al servizio della strategia di Trump, che avrebbe fatto pressioni su Barr già settimane prima delle elezioni. Il tycoon si batte per invertire le vittorie del rivale democratico in diversi Stati chiave - Pennsylvania, Nevada, Georgia e Arizona - che danno a Biden abbastanza voti elettorali per vincere le elezioni presidenziali complessive.
La campagna di Trump e il partito repubblicano hanno intentato o minacciato azioni legali in diversi Stati (una decina di cause avviate, alcune già ritirate) sperando di cambiare il risultato con squalifiche e riconteggi. Ma finora le loro azioni non hanno prodotto risultati: deve portare le prove delle accuse, e comunque, anche qualora vincesse, non è detto che questo gli basterebbe per rivendicare la vittoria. Nella sua battaglia, il presidente trova il Gop ancora compatto nel sostenerlo. Finora solo tre senatori repubblicani si sono ufficialmente schierati con Biden. I repubblicani per ora non contestano la sua narrativa, che le elezioni gli siano state rubate.
La battaglia di Trump trova più ostacoli nei media. Persino Fox News, il network più vicino a Trump in questi quattro anni di presidenza, ha 'oscurato' la portavoce della Casa Bianca, Kayleigh McEnany, mentre teneva una conferenza stampa in cui accusava i democratici di "frodi e voti illegali". E a Trump non va meglio con i social network: secondo quanto denuncia l'Ong Avaaz, dopo Twitter e Youtube, anche Facebook ha rimosso dei falsi profili tesi a promuovere la tesi repubblicana di frodi elettorali da parte democratica, tutti riconducibili a Steve Bannon, ex consigliere dello stesso Trump.