Roma, 23 maggio 2024 – Il Fisco perde il pelo ma non il vizio, verrebbe da dire. Diciamo la verità: l’Agenzia delle entrate ha sempre sognato di poter mettere lo sguardo nelle spese e nei consumi degli italiani per stanare il gran popolo degli evasori. Tanto che, negli ultimi mesi, sono finiti nel mirino anche i post pubblicati su Facebook per scoprire il grado di fedeltà dei contribuenti. Il ritorno sulla scena, con tanto di polemiche infuocate e retromarcia, del redditometro non fa altro che confermare la vecchia strategia: risalire al reddito partendo dalle spese.
Il Redditometro
Non è proprio una novità. Il primo strumento per misurare il reddito risale addirittura agli anni ’70, con la prima grande riforma fiscale. Poi, intervenne Berlusconi a modificare le cose, prima dello stop definitivo nel 2019. Un po’ per l’effetto del Covid e un po’ perché da tempo, come denunciato dalla Corte dei Conti, il redditometro aveva perso il suo appeal portando nelle casse dello Stato solo una manciata di milioni a fronte di alcune migliaia di controlli.
Lo Spesometro
Stesso destino, qualche anno prima, lo aveva registrato un altro strumento molto simile, lo Spesometro, che imponeva agli operatori finanziari e ai commercianti l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate il codice fiscale di chi effettuava acquisti per un importo superiore a una data cifra stabilita per legge.
Anche in questo caso un flop con un aggravante: il peso di ulteriori pratiche burocratiche sulle spalle dei commercianti.
Gli studi di settore
Sono andate meglio le cose per gli Studi di Settore, che per anni hanno agitato il sonno delle partite Iva e dei lavoratori autonomi dal momento che, sulla base di elaboratissime analisi e statistiche, avevano l’obiettivo di calcolare il reddito effettivo dei contribuenti. Uno strumento sostituito negli ultimi anni dagli Isa, gli indici sintetici di affidabilità, che sono alla base del nuovo concordato preventivo.
Il cashback
Poi è arrivata , sempre sul fronte della lotta all’evasione, un altro facile slogan: la stretta sul contante. Con strumenti che, puntualmente, hanno fatto cilecca. L’ultimo in ordine di tempo è stato il "cashback" il meccanismo, fortemente voluto dal governo Conte per mettere un freno all’uso del contante e tracciare i pagamenti. È finito con un bagno di sangue per le casse dello Stato, una spesa di 2 miliardi di euro, senza un reale effetto sul gettito. Tanto che a metà percorso, due anni prima della sua fine naturale, è stato l’ex premier, Mario Draghi a mandarlo definitivamente in soffitta.
La lotteria degli scontrini
Stesso discorso anche per la lotteria degli scontrini, che dopo aver raggiunto un picco di 25mila scontrini nel marzo 2021, ha registrato una costante contrazione, per attestarsi appena sopra le 5 mila unità un anno dopo. La verità, spiega Domenico Posca, presidente Unione italiana Commercialisti, "non si può determinare il reddito introducendo una sorta di ‘catasto’ del tenore di vita di imprenditori e lavoratori autonomi. Si rischia solo di ridurre i consumi".
Il tutor fiscale
La strada da percorrere potrebbe essere, invece, quella di un tutor fiscale, più o meno il sistema per la verifica della velocità media dei veicoli. "Attraverso i dati che l’anagrafe tributaria ha a disposizione – spiega Posca – si misura ad una certa data l’entità del patrimonio di un contribuente. La stessa misurazione, in automatico, viene fatta con cadenza annuale, determinando in tal modo l’incremento patrimoniale. Questa verifica automatizzata svolta a tappeto su tutti i contribuenti, limiterebbe gli oneri dichiarativi allo stretto necessario in un modello Unico di due facciate".