Mercoledì 11 Settembre 2024
GIORGIO COSTA
Economia

"No alla guerra dei dazi con la Cina". L’agroalimentare italiano in allarme

I produttori di formaggio: "Le ritorsioni colpirebbero l’export". Una soluzione presentata al governo

"No alla guerra dei dazi con la Cina". L’agroalimentare italiano in  allarme

I produttori di formaggio: "Le ritorsioni colpirebbero l’export". Una soluzione presentata al governo

"Se proprio di dazi si deve parlare, dobbiamo provare a contenere la misura della Cina entro le somme che paghiamo oggi per fare entrate i nostri prodotti negli Stati Uniti, vale a dire circa il 10% del valore del prodotto. Un dato molto migliorativo rispetto ai dazi di Donald Trump che arrivavano al 40% del valore". Il direttore generale del Consorzio di Tutela del Grana Padano, Stefano Berni, ha incontrato nei giorni scorsi il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e c’è la volontà di trovare una soluzione per contenere i dazi cinesi e la proposta verrà discussa al G7 Agricoltura che si terrà in Sicilia dal 21 al 28 settembre. Il problema da scongiurare è che, alla mossa Usa-Europa sulle auto elettriche cinesi, la Cina risponda colpendo le eccellenze agroalimentari a grave danno di Francia, Germania e Italia che sono i maggiori produttori, in particolare di formaggi. A partire dalle Dop, che vedono nel Grana Padano il leader mondiale nel consumo con 5.456.500 forme prodotte lo scorso anno e con un export che già nei primi mesi del 2024 è ulteriormente cresciuto, arrivando a rappresentare circa il 52% del prodotto commercializzato che vale, al consumo, 3,7 miliardi di euro grazie al lavoro di quattromila stalle che producono un latte che viene remunerato, record italiano, a 64 centesimi al litro.

"Per il Grana Padano la Cina – spiega Berni – è un mercato in decisa crescita e quindi saremmo sicuramente penalizzati. I produttori di Grana Padano hanno già subito blocchi in Russia nel 2014 quando ci fu l’invasione della Crimea e persero completamente un mercato che si stava rivelando interessantissimo avendo allora raggiunto in pochi anni le 50.000 forme annue". Il direttore del Consorzio di tutela del Grana Padano chiama in causa anche i diritti dei consumatori: "Noi siamo a favore della libera scelta del consumatore legata a prezzi corretti che non vengano eccessivamente gravati da dazi di ingresso, costi aggiuntivi di derivazione politica oltre a quelli fisiologici dettati dalla qualità dei prodotti posti in vendita".

Anche il Consorzio del Parmigiano Reggiano segue la vicenda dazi. "Quel ci preoccupa, al di là della questione cinese – spiega Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio, 161.700 tonnellate di Parmigiano prodotto, esportato per il 47%, per un valore alla produzione di 1,7 miliardi che raddoppiano se si guarda al consumo –, è che si avviino misure comunque restrittive del commercio mondiale dei latticini. La Cina vale circa 35 tonnellate di prodotto e gli Usa ben il 25% del totale esportato che significa 20mila tonnellate; ora negli Usa i farmer producono latte che vendono a 28 centesimi causa il crollo del consumo di latte fresco e il rischio è quello di provvedimenti di tutela che colpiscano in maniera indiscriminata anche chi, come noi, copre solo il 5% del mercato dei Parmesan a stelle e strisce".

Gian Domenico Auricchio, amministratore delegato della Auricchio (ricavi intorno ai 400 milioni nel 2023 e in leggera crescita nel 2024 grazie all’attività di novi stabilimenti produttivi), ritiene che "i dazi siano sempre una sconfitta, un ritorno al passato che mina la globalizzazione. Per noi la Cina è un mercato interessante oggi ma con grandi prospettive per il futuro vista la crescita della ricchezza media del Paese e la voglia che i cinesi hanno di sperimentare non solo il lusso della moda ma anche del cibo. E quando assaggiano il cibo italiano a casa nostra come turisti poi iniziano a cercarlo anche in patria".