
Rcr, un rilancio nato dalla luce: "Siamo ripartiti dal prodotto"
ROBERTO PIERUCCI, origini perugine, amministratore delegato di Rcr Cristalleria Italiana dal 2008, prova a togliere un po’ di epica alla lunga storia di Colle Val d’Elsa Boemia d’Italia, capitale del cristallo da quasi due secoli, città che sforna il 95% della produzione italiana e il 15% di quella mondiale. Da quando il vetraio francese Francesco Mathis aprì nel 1820 una fabbrica di cristalli accanto a un ex convento, l’economia di questa parte della Valdelsa senese ha subìto le oscillazioni e le mode del prodotto principe, che è sia brillante che fragile. "La bellezza del vetro - è l’incipit di Pierucci - è l’essere un materiale che racchiude i quattro elementi: il fuoco che serve per creare il magma che deriva dalla terra, dalla sabbia; l’acqua che serve per renderlo più brillante e poi l’aria, il vento, che serve per soffiarlo. L’azienda è risanata, ma i risultati sono arrivati dopo anni molto complessi e densi di battaglie, per salvarla dalla deriva. E oggi i fatturati e i conti, la sostenibilità finanziaria, sono un motivo d’orgoglio per i 300 dipendenti di Rcr".
Perché Colle è la capitale del cristallo?
"Il cristallo è nato qui per sfide imprenditoriali coraggiose, per la presenza di materie prime e anche grazie al fiume Elsa che forniva l’energia - racconta Pierucci -. E che nei primi anni ’60 ha consentito di trasformare attività essenzialmente artigianali in un’industria nel senso più ampio possibile. Sono gli anni della nascita della Calp, Cristallerie Artistiche La Piana, che raggiunse risultati straordinari".
Parliamo della Calp, che negli anni ’80 registrò fatturati straordinari e arrivò anche ad essere quotata in Borsa a Milano, unica società senese in quegli anni.
"Era una tra le prime cinque produttrici di cristallo al mondo, nel settore arredo tavola. Poi la Calp si crogiolò sugli allori, quello che era un mercato che aveva consentito espansioni internazionali, ovvero la regalistica e le liste nozze, alimentata da un cristallo con alta concentrazione di piombo, si contrasse a tal punto da diventare un boomerang".
La crisi dei matrimoni ruppe i sogni di gloria del cristallo di Colle?
"Negli anni Duemila c’erano altri players sul mercato, grandi gruppi della distribuzione che, senza citare nomi e marchi, quasi monopolizzarono la vendita di bicchieri e calici. Aggiungete il fatto che il canale Horeca, hotel, ristoranti e catering, non si confaceva a un prodotto particolarmente raffinato, come il calice di cristallo pesante. Il mondo era cambiato, aveva bisogno di leggerezza, velocità, meno lusso a tavola".
Per questo il piombo, che rappresentò l’elemento cruciale per la crescita degli anni ’80 e ’90, diventò il fattore che appesantì le ali dell’azienda?
"Esatto. Per rinascere bisognava ripensare al prodotto, eliminare il piombo salvando la brillantezza e la trasparenza. Noi di Rcr abbiamo tolto il piombo già dal 2011, abbiamo dato vita a un prodotto nuovo e rivoluzionato anche i canali distributivi e l’immagine. Il nuovo materiale si chiama Luxion, perché nasce dalla luce, che è l’essenza del vetro, l’aspetto più bello".
Di chi è Rcr? Chi è il proprietario dell’azienda?
"Le famiglie storiche di Colle Val d’Elsa, proprietarie della Calp, hanno mantenuto delle quote di minoranza. Nel 2007, quando siamo diventati Rcr, sono entrati nuovi azionisti, con un profilo internazionale. Sono arrivati i fondi istituzionali, partner industriali come il gruppo Miroglio, attivo nel tessile e nella moda anche con il marchio Elena Mirò, che hanno creduto nella nuova politica che portiamo avanti. E nei nuovi processi organizzativi e industriali radicalmente cambiati".
Qual era lo stato finanziario in quegli anni?
"L’azienda fatturava circa 35 milioni di euro e perdeva 2 milioni al mese. Aveva debiti che erano il doppio del fatturato. Il principio della nostra politica era ’far bene alle persone e all’ambiente fa bene al business’. Abbiamo rivoltato l’azienda, puntando alla sostenibilità sociale e ambientale".
Come ha tradotto questi concetti in pratica?
"Ricreando delle condizioni fisiche e produttive per migliorare il lavoro dei dipendenti e aumentare i livelli produttivi, fino al 50% in più. Se dieci anni fa producevamo 30 milioni di pezzi, oggi ne sforniamo 45 milioni. Così si sono ridotto i costi e i prezzi del prodotto".
Nessuna ristrutturazione del personale?
"C’erano costi troppo alti. Siamo passati da 600 dipendenti diretti nel 2010 a 300 attuali. Ma la gestione degli esuberi è avvenuta in maniera indolore o quasi. Sono stati accompagnati alla pensione o a trovare lavoro nelle aziende collegate a Rcr. Oggi abbiamo 200 collaboratori nell’indotto".
I fatturati sono a quota 50 milioni. E’ il vostro break even point?
"Lo è in una situazione in cui stiamo ancora cercando di smaltire l’eredità del passato. Tra pandemia, crisi energetica pazzesca, che per noi ha comportato sacrifici pesanti, non è stato per niente facile applicare i nostri processi industriali e organizzativi in un quadro complesso".
Rcr è un’azienda altamente energivora. A quanto ammonta la vostra bolletta?
"Siamo l’unica azienda al mondo che produce vetro solo con forni elettrici. Non è un merito nostro, ma dei soci fondatori che si sono convertiti subito all’elettrico. Ma quando i costi dell’energia vanno alle stelle, come durante la crisi di due anni fa, la nostra bolletta supera il mezzo milione di euro al mese".
Vi farebbero comodo energie alternative...
"Abbiamo progetti sul fotovoltaico e su altre fonti rinnovabili. Ma il peso della bolletta resta alto".