HANNO FISSATO I LORO valori in un manifesto, denominato ‘La fabbrica lenta’, poiché tutti i processi aziendali sono improntati alla lentezza e affidati a macchinari meccanici, non elettronici, privi di qualsiasi automatismo. Vecchi telai scartati e finiti nell’oblio per il loro essere, appunto, ‘lenti’: è su questa visione, decisamente atipica nel panorama produttivo contemporaneo, che l’azienda tessile Bonotto Spa – con sede a Colceresa, nel Vicentino – ha costruito il proprio successo. Oggi parte del gruppo Ermenegildo Zegna, l’azienda è nata nel 1912 come fabbrica di cappelli di paglia ed è diventata, negli anni, punto di riferimento del tessile italiano, con un fatturato annuo di oltre venticinque milioni di euro. Fondata da Luigi Bonotto, la manifattura è arrivata ora alla quarta generazione: il figlio del fondatore, Luigi IIº Bonotto, ne intuì il potenziale e la trasformò in un’azienda tessile a ciclo produttivo completo, con un’evoluzione parallela a quella che stava interessando, negli stessi anni, il sistema moda italiano. I sui figli Lorenzo e Giovanni (nella foto in alto), che ricoprono rispettivamente i ruoli di amministratore delegato e direttore creativo, hanno impresso una svolta decisiva all’azienda, sia dal punto di vista dell’internazionalizzazione, sia da quello della sostenibilità ambientale.
È da oltre dieci anni, infatti, che l’azienda veneta ha adottato un approccio spiccatamente orientato alla sostenibilità, scommettendo in primis su riuso e trasformazione di tessuti riciclati, con l’obiettivo di dar vita a prodotti innovativi. Partendo dall’assunto – ormai ampiamente dimostrato – che l’industria della moda rientra fra quelle con un maggior impatto ambientale ed è dunque necessario far pressione sulle filiere affinché promuovano sistemi meno inquinanti, Bonotto Spa ha avviato alcune produzioni all’avanguardia. Uno dei primi esempi è stato il tessuto realizzato con plastica riciclata certificata Grs (Global recycle standard), con cui l’azienda ha ‘partecipato’, nel 2021, alle Olimpiadi di Tokyo: già, perché con quel filato è stato tessuto un arazzo che ha interamente rivestito, per l’occasione, Casa Italia. L’arazzo – prodotto con 500 kg di filato, ricavato da bottiglie di plastica riciclata – rappresentava l’incontro tra i colori della bandiera italiana e i motivi tipici della cultura giapponese. Anche questo manufatto è stato prodotto con gli antichi telai della ‘fabbrica lenta’, confermando – ha sottolineato l’azienda – "che l’incontro tra lentezza della sapienza artigiana e velocità dell’innovazione tessile è ancora possibile".
"A un certo punto ho iniziato a comprare solo macchine vecchie – ricorda Giovanni Bonotto, direttore creativo e nipote del capostipite Luigi –, chi me le vendeva pensava lo facessimo perché non avevamo soldi per comprarne altre. Invece, io non compravo vecchi telai, ma una ‘fabbrica lenta’ che mi regalava prezioso know-how". In azienda lavorano attualmente 200 maestri artigiani e i tessuti – la cui produzione annuale supera i 3 milioni di metri quadri – sono realizzati con telai come quelli antichi giapponesi, alti 75 centimetri, recuperati e rimessi in funzione. Non un capriccio estetico, dunque, ma un approccio imprenditoriale coraggioso e visionario, che ha convinto i fratelli Bonotto, a partire dal 2007, a inserire gli antichi macchinari in un contesto produttivo capace di esaltare, grazie alle nuove tecnologie, i saperi artigianali. Una sinfonia armoniosa, insomma, da cui prendono forma i tessuti contesi oggi dalle griffe più celebri al mondo. Ogni telaio è controllato, alimentato, oliato da una mano umana, per una produzione ‘lenta’, ricca di quelle imperfezioni in grado di rendere ciascuna creazione unica e irripetibile. Il modello manifatturiero di Bonotto Spa rivaluta e premia la ‘cultura delle mani’: la produzione è limitata, ma ben lontana dagli standard della produzione in serie e a basso costo, che oggi imperversa nel fashion. Per Giovanni e Lorenzo Bonotto la qualità di un prodotto sta, infatti, "nel tempo impiegato a realizzarlo".
Un ulteriore aspetto che fa comprendere meglio la filosofia dell’azienda vicentina è il legame viscerale della famiglia Bonotto con il mondo dell’arte: il sodalizio con gli artisti contemporanei ha influenzato profondamente l’intera storia aziendale. Detentrice della più ampia collezione privata di opere d’arte della corrente Fluxus (attiva in diversi Paesi, fra cui l’Italia, tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta), la famiglia ha deciso di esporla permanentemente all’interno della fabbrica stessa, affinché gli artigiani, lo staff e i visitatori possano trarne ispirazione. Nel ricostruire la genesi della ‘fabbrica lenta’, Giovanni Bonotto ha infatti dichiarato, a proposito dell’ambiente che respirava in famiglia: "Da piccolo ho conosciuto tanti artisti internazionali, che erano soliti venire a trovare mio padre (Luigi IIº Bonotto, ndr). Artisti come Marcel Duchamp e Joseph Beuys mi hanno insegnato che l’opera d’arte è diventata la loro vita – e viceversa. È così che loro hanno infranto barriere e pregiudizi e fondato la contemporaneità. Grazie a loro, per me tutto questo è diventato naturale: tra fare impresa, arte e vivere non c’è alcun confine. Quando le cose andavano a gonfie vele per tutti, il nostro approccio all’impresa era assai poco capito. Al giorno d’oggi, però, siamo uno dei pochi produttori rimasti in piedi nel tessile. Non solo non abbiamo chiuso, ma ci siamo ingranditi e il merito va ai nostri processi produttivi e di gestione del business, ‘impollinati’ da un pensiero ben diverso da quello dominante".