"GLI AGENTI MARITTIMI da sempre occupano un posto di osservazione ottimale non solo sui traffici mondiali via mare o sui porti, ma anche sui delicati equilibri che caratterizzano i mercati e quindi l’interscambio mondiale via mare", dice Bruno Dardani (nella foto a destra), direttore del Centro di analisi e consulenza strategica sul mare ’Giuseppe Bono’. Al centro studi è stato affidato l’incarico di analizzare l’economia del mare nello scenario internazionale attuale da parte del presidente di Assagenti Genova, Paolo Pessina (sopra a sinistra). "Per noi rappresenta un primo reale tentativo di far comprendere anche all’opinione pubblica la magnitudo dei rischi che stanno attraversando alcune fra le principali rotte marittime", spiega Pessina, che ha assunto da qualche settimana la presidenza nazionale anche di Federagenti: "per troppi anni si è pensato e guardato al mare come a un pianeta a se stante, quando è vero l’esatto contrario". Secondo Bruno Dardani, l’intento della categoria degli agenti marittimi è proprio quello di "far cogliere il reale significato dell’eventuale chiusura di una o più delle otto strozzature, quelle che in inglese si chiamano ’choke points’, che caratterizzano i traffici via mare. Fra lepiù esposte in questo momento figura Suez che lavora a mezzo servizio a causa degli attacchi dei ribelli Houthi alle navi che transitano nel Mar Rosso, ma anche lo stretto di Hormuz che separa l’Oceano Indiano dal Golfo Persico. Stretto nel quale transitano navi cisterna che trasportano più del 20% del totale della produzione mondiale di petrolio".
Guidato da Massimo Ponzellini (sotto a sinistra), presidente onorario della Banca europea per gli investimenti, e con la presidenza onoraria del sindaco di Genova, Marco Bucci, il Centro di analisi e consulenza strategica sul mare ’Giuseppe Bono’ ha sede a Genova. Il Centro conduce studi e ricerche sull’economia del mare e si occupa di eventi dedicati a questo tema. Il settore è fondamentale per l’economia domestica ed internazionale. Come lo è capire lo scenario internazionale. "Ostruzioni o anche solo rallentamenti sulle principali rotte del traffico marittimo – conferma, infatti, il direttore del Centro, Bruno Dardani – potrebbero innescare reazioni a catena, creando danni permanenti a interi sistemi economici. Basti pensare agli approvvigionamenti di energia da parte dei Paesi industrializzati. Tali chiusure potrebbero inoltre compromettere la capacità di sopravvivenza di estese comunità, che potrebbero subire il black out nelle importazioni di cereali, riso o soia, trasportate per oltre il 60% via mare proprio attraverso quegli stretti che oggi sono a rischio blocco, con conseguenze devastanti e il rischio di vere e proprie carestie".
Gli agenti marittimi genovesi, in occasione della presentazione dello studio, hanno ricordato come l’improvvisa rottura della catena logistica sulla quale si regge l’economia globale, potrebbe accendere nuovi focolai di tensione geopolitica, anche e specialmente in un Mediterraneo allargato che già oggi manifesta segnali di forte fragilità in Egitto, ovviamente in Medio Oriente, ma anche in tutti i Paesi del Nord Africa. "Per altro la comunità internazionale – aggiunge Pessina – ha già sperimentato con il Covid, ma anche con fenomeni naturali, come la siccità che ha condizionato il funzionamento del Canale di Panama, per non parlare della chiusura di otto anni di Suez negli anni 70, cosa significhi una ostruzione delle rotte strategiche". D’altra parte, come si evince dalla ricerca presentata dal Centro Giuseppe Bono, più dell’80% dell’interscambio commerciale viaggia via mare, ma oggi, quasi il 50% delle aree strategiche attraverso le quali questi traffici transitano, sono considerate a rischio o per la situazione geopolitica che le riguarda o per atti concentrati di terrorismo e pirateria. Ebbene sì, esistono ancora i pirati, e come spiega Dardani, "oltre a questi pericoli vanno considerati anche i fenomeni di tipo naturale, quale la siccità, che ha limitato in modo determinante l’operatività nel canale di Panama".
In inglese le strettoie attraverso le quali transita il maggior numero di navi impegnate nel trasporto di merci, materie prime, container ed energia sono denominate ’choke point’. Guerre, terrorismo, pirateria, ma anche immigrazione irregolare, traffico di sostanze tossiche, droga e contrabbando sono da sempre elementi di incertezza incombenti sull’assetto dei traffici marittimi, ma oggi i fenomeni, in un’ottica globale, sembrano aver assunto quelle caratteristiche di una reazione a catena in grado di determinare situazioni incontrollabili. Questa la sintesi dello studio. Aggiunge Dardani: "Esiste una fondamentale differenza rispetto al passato: si chiama consapevolezza. Il mondo occidentale, e anche l’Italia che ne fa parte, stanno prendendo coscienza dell’importanza strategica di almeno 13 strozzature, attraverso le quali transita la quasi totalità dell’interscambio commerciale via mare. Choke point che determinano il controllo economico e geopolitico del Pianeta, che segnano anche i punti di rottura attuali e potenziali nel network di relazioni internazionali, consentendo quella che è definita la gestione dei conflitti regionali. Si calcola che siano in atto oltre 50 conflitti nel mondo, ma alcuni hanno avuto il potere, per l’escalation della tensione che stanno provocando, ma anche per le conseguenze proprio sulla sicurezza e affidabilità dell’interscambio commerciale via mare, di accendere i riflettori su attività, come quelle di trasporto marittimo o di gestione dei porti, per non parlare degli allarmi sul flusso dei dati Internet, come mai era accaduto in passato".