Domenica 5 Maggio 2024

La vita, il lavoro, l'impresa: una traversata a vela

L'andare per mare, con le sue regole e i suoi imprevedibili incontri, come metafora dell'esistenza, ma anche della professione e del management, nel racconto di un uomo d'azienda, velista appassionato, di ritorno dal Centro velico di Caprera.

Esercitazioni in mare, Centro velico di Caprera

Esercitazioni in mare, Centro velico di Caprera

La metafora della vita come navigazione è probabilmente una delle più usate (e forse abusate) nella letteratura di ogni tempo, presumibilmente proprio per il fascino che il mare ha da sempre esercitato nell’immaginario collettivo e non solo. Pur consapevole del rischio di praticare quindi un terreno assai scivoloso, e di cadere nella retorica del banale, condivido qui una riflessione legata ad alcuni insegnamenti acquisiti in quel di Caprera frequentando l’ennesimo, stupefacente corso dell’omonimo Centro Velico (CVC).

Andare per mare -  meglio se a vela -  ha le sue regole che se esaminate nella loro intima essenza, intesa come approccio quanto più possibile consapevole alle cose della vita,  offrono insegnamenti applicabili al nostro quotidiano agire, ambito lavorativo compreso. Da quando nasciamo siamo chiamati ad evolvere e migliorarci in un costante percorso di  apprendimento che si sviluppa in maniera formale (insegnamenti) ed informale (esperienze): la vela non fa eccezione ed il percorso evolutivo di un velista può essere concettualmente suddiviso in quattro fasi.

La prima  riguarda il cosa facciamo nel momento in cui siamo chiamati ad effettuare una manovra, qualunque essa sia. Ci può essere richiesto per esempio di lascare (mollare) o cazzare (tirare) una scotta o una drizza (in entrambi i casi si tratta di corde), di spostare un carrello per ottimizzare l’apertura della randa (la vela posteriore della barca) o di utilizzare un winch, cioè quei grandi argani verticali utilizzati per moltiplicare la forza esercitata sulle cime per cazzarle. In questa fase l’attenzione del velista in erba è tutta ed esclusivamente concentrata sulla corretta esecuzione della manovra: per esempio nel caso di utilizzo del winch si deve stare molto attenti per evitare conseguenze indesiderate (in particolare perniciosi ingarbugliamenti o slittamenti delle cime). Potremmo definire questa fase come quella del “corretto adempimento” dei compiti richiesti e/o necessari, del “saper fare” e del “fare bene”. A ben guardare questa è la base per l’avvio di qualsiasi  percorso professionale o di vita che sia: è tuttavia una condizione necessaria ma che può non essere sufficiente, come vedremo.

Il secondo step lo si consegue  quando il velista oltre a cercare di fare bene ciò che le circostanze richiedono allo stesso tempo  è capace di verificare l’effetto della sua manovra sull’assetto della barca. Se per esempio cazzo la scotta del fiocco (la vela anteriore), magari con vento forte e dovendo utilizzare un’apposita maniglia, oltre a “guardare” il winch dovrò avere la capacità (rectius competenza) di controllare l’effetto regolatorio che questa manovra sta determinando  su quella specifica vela. Analogamente se modifico la posizione del carrello sul quale è “agganciata” la randa dovrò sollevare lo sguardo  e vedere cosa sta accadendo più in alto a venti metri di distanza. Questo secondo livello può essere definito quello della consapevolezza degli effetti immediati del mio agire nell’ambiente (lavorativo o esistenziale è uguale) nel quale opero.  La mia azione sta determinando gli effetti sperati? E’ coerente con i miei obiettivi o magari è inutile se non dannosa? Quante volte omettiamo, per pigrizia, stanchezza, eccesso di confidenza  o altro, di alzare la testa dalla scrivania e di verificare questi effetti?

Il terzo livello di competenza velistica e di consapevolezza “esistenziale” lo si raggiunge quando oltre ad effettuare correttamente la manovra (step 1) ed  a verificare immediatamente l’effetto che questa ha determinato o sta determinando sull’assetto della barca  in termini di orientamento e regolazione delle vele e giusta tensione delle scotte ecc. (step 2)  riusciamo a tenere sotto controllo l’orientamento spazio temporale della nostra imbarcazione nel mutevole ambiente che la circonda. Posso infatti effettuare una virata perfetta ma se sono sotto costa e prendo la direzione sbagliata possono essere guai. Può capitare di cazzare per bene un fiocco per prendere il miglior angolo di bolina ma se non mi rendo conto di una barca che sopraggiunge mure a dritta (con diritto di precedenza quindi) la cosa migliore che mi può capitare è quella di dover ripetere la manovra, se tutto va bene. Questo terzo livello possiamo definirlo della consapevolezza del contesto in cui operiamo: dei suoi pericoli ma anche delle opportunità che presenta e che dobbiamo essere in grado di cogliere. Senza scadere nel relativismo in alcune circostanze la correttezza e/o l’opportunità del nostro agire, esistenziale o manageriale che sia, può non essere data dall’azione in sé ma dallo scenario nella quale essa viene agita. Per cogliere le opportunità o evitare i rischi serve quindi avere preparazione, competenze e know how adeguati (gestire al meglio gli steps 1 e 2) ma anche “leggere” lo scenario dato in cui operiamo e sul quale non possiamo incidere ma con il quale dobbiamo necessariamente fare i conti.

Sovente questa capacità fa la differenza tra successo e insuccesso, per alcuni tra buona e cattiva sorte: ma su questo forse è bene ricordare che se è vero che il treno della fortuna passa poche volte nella vita in quelle rare occasioni occorre tuttavia farsi trovare in stazione e con le valigie pronte.

E’ finita qui? No, perché esiste un quarto livello -  l’ultimo – che i velisti più avvezzi (e le persone più consapevoli) maneggiano con disinvoltura. Sono coloro i quali gestiscono correttamente le manovre (le regolazioni), verificano l’effetto di queste sulla barca, controllano l’ambiente circostante e contemporaneamente anticipano il futuro,  prevedendo cioè  cosa accadrà dopo, proprio come uno scacchista che anticipa di molte mosse gli scenari di gioco successivi. In pratica effettuando correttamente un manovra so che porterò la mia imbarcazione in un certo contesto che successivamente mi richiederà di adottare misure che già prevedo con largo in anticipo. E’ evidente come questa attività predittiva afferisca al pensiero strategico che nel coniugare esperienza e competenza tecnica consente a chi la esercita una “navigazione” sufficientemente sicura.

E in questa grande metafora se sostituiamo la barca con noi stessi, le condizioni del mare e dell’ambiente circostante che le nostre vite (e contesti lavorativi), le capacità marinaresche con le nostre sensibilità personali o professionalità  forse ne  possiamo trarre insegnamenti che vanno molto al di là del pur straordinario e ricchissimo universo velico. 

* Manager e velista (appassionato) 

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