Domenica 5 Maggio 2024

Il Dragone alleva i re del web. Poi li divora

Nuova stretta sui colossi cinesi dopo il caso Alibaba: nel mirino Didi e tre app quotate negli Stati Uniti. "Rischi per la sicurezza dei dati"

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di Elena Comelli

PECHINO (Cina)

L’ordine regna a Pechino. La rapidissima campagna di "normalizzazione" dei colossi digitali cinesi coinvolge ormai una trentina di aziende, prese di mira in pochi giorni dalla Cyberspace Administration of China, con risultati disastrosi per i loro valori di Borsa. Dopo Didi, rimossa venerdì scorso dagli app store del Paese, nel mirino delle autorità cinesi sono entrate domenica tre nuove società: Yunmanman e Huochebang (che fanno capo a Full Truck Alliance) e Boss Zhipin (Kanzhun). Per tutte c’è il divieto di raccolta di nuovi clienti, "per prevenire i rischi alla sicurezza dei dati nazionali, proteggere la sicurezza nazionale e l’interesse pubblico".

La stretta è stata annunciata nel giro del fine settimana, malgrado la Cac non abbia ancora specificato la natura delle violazioni. Il Global Times, un tabloid statale molto nazionalista, ha sostenuto che la protezione delle informazioni personali degli utenti è un problema di sicurezza nazionale, a causa degli azionisti internazionali di Didi, fra cui c’è anche Uber. "Un gigante di internet non può assolutamente avere un controllo migliore dello Stato sui dati personali dei cinesi", ha scritto ieri il quotidiano in un editoriale. Come Didi, che ha raccolto 4,4 miliardi di dollari alla Borsa di New York nella più grande Ipo cinese dopo quella di Alibaba (ma venerdì ha perso oltre il 5% del suo valore), Full Truck Alliance e Boss Zhipin si sono quotate a New York in giugno, raccogliendo rispettivamente 1,6 miliardi e 912 milioni di dollari. I tre gruppi sono leader del settore in Cina e sono tutti sostenuti da Tencent, il più importante colosso tecnologico cinese, che finora ha evitato gravi danni dalla repressione normativa.

Tutto è cominciato in novembre, con la demolizione di Alibaba, il colosso di Jack Ma quotato a New York già dal 2014 e devastato negli ultimi mesi dal governo cinese a colpi di Ipo fatte saltare (Ant, casa madre di Alibaba, doveva quotarsi a Shanghai in novembre ma all’ultimo minuto è arrivato il blocco da Pechino), multe Antitrust astronomiche e tentate nazionalizzazioni. Poi, nella prima metà di quest’anno ben 34 società cinesi hanno raccolto la cifra record di 12,4 miliardi di dollari alla Borsa di New York, ma l’offensiva delle autorità cinesi contro le quotate a Wall Street le sta facendo calare al di sotto del loro prezzo di offerta pubblica iniziale.

Il giro di vite ha causato un terremoto anche nei mercati asiatici ieri: Il gruppo giapponese SoftBank, il cui Vision Fund è un grande investitore di Didi, è sceso del 5,4%, mentre i gruppi Alibaba e Tencent sono scesi del 2,9% e del 3,7% a Hong Kong. D’altronde non è certo un mistero che i dati sono un grande obiettivo per il governo cinese, nell’ambito del tentativo più ampio per regolamentare il settore tecnologico, cresciuto in gran parte senza controlli nel corso degli anni. A giugno, Pechino ha approvato una nuova legge sulla sicurezza dei dati che stabilisce come le aziende debbano raccogliere, archiviare e utilizzare i dati. E il fatto che non poche aziende cinesi considerate sensibili in quanto detentrici di enormi quantità di dati si siano quotate alla Borsa americana, non piace a Pechino.

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