UN DECENNIO di tassi a zero (e spesso sottozero, con rendimenti dei Buoni ordinari del Tesoro che sono finiti in negativo come è successo anche in altri Paesi europei e Nord americani) ha rivoluzionato la cultura e le consuetudini del risparmio. E ci fa sembrare altissimi tassi sui mutui intorno al 4% annuo, che erano da considerare molto bassi prima dell’avvento dell’euro che ha normalizzato a livelli europei la situazione dei tassi in Italia (che con la lira avevano ben altro tenore). Il resto lo ha fatto la Bce (nella foto in basso la presidente Christine Lagarde) comprando il debito pubblico dei Paesi membri e in primis quello italiano che per mole e instabilità nazionale ha sempre dovuto pagare tassi molto alti per scelto dai risparmiatori. Certo, i differenziali di tassi esistono ancora (e penalizzano il debito pubblico italiano che ancora oggi paga tassi di interessi superiori persino a quelli della Grecia) ma sono poca cosa se li si confronta con i tassi al 20% che il nostro Paese doveva pagare a inizi anni ’90 del ventesimo secolo. Naturalmente, se molto risparmio finisce nelle casse dello Stato sotto forma di debito pubblico, a soffrire sono i depositi bancari e di conseguenza gli investimenti delle banche nelle attività produttive, che sono il destinatario principale e preferito degli impieghi bancari.
"Il risparmio – spiega il presidente dell’Abi Antonio Patuelli (nella foto sopra) – è energia fondamentale per lo sviluppo e l’occupazione: per questo occorre riformare e ridurre rapidamente la pressione fiscale sul risparmio investito a medio e lungo termine. Gli investimenti del risparmio nell’economia produttiva non producono rendite, ma rendimenti più o meno basati sul rischio e occorre non confondere e distinguere i rendimenti investiti in attività produttive a medio e lungo termine, rispetto alle operazioni speculative a brevissimo termine. Comunque le banche – a differenza degli Stati, quando, fino a circa due anni fa i tassi dei Bot e dei depositi volontari delle banche in Bce erano negativi – in Italia non applicavano tassi negativi ai risparmiatori, cioè non si facevano pagare per tenere i depositi, cosa che gli Stati facevano". E quando l’inflazione sale, il modo più semplice per combatterla è quello di alzare i tassi di interesse. "È ovvio che sia così ed è corretto che la Bce abbia alzato i tassi di interesse più o meno come hanno fatto tutte le altre banche anche se con tempi diversi tra loro. Però ora – continua Patuelli – chiediamo alla Bce di combattere l’inflazione evitando una nuova recessione: bisogna soprattutto incentivare lo sviluppo".
Peraltro, la lotta all’inflazione non può dipendere esclusivamente dalle politiche monetarie: occorrono strategie rigorose contro ogni evasione fiscale, per la riduzione del debito pubblico in rapporto al Pil e in cifra assoluta, e contro la spirale di crescita dei prezzi, quando l’euro è più robusto della vecchia lira italiana e limita l’inflazione. Le strette monetarie impattano sull’attività bancaria e accentuano la concorrenza fra istituti nella raccolta del risparmio, con un’impennata dei rendimenti per i risparmiatori che investono liquidità con durata prestabilita, con tassi competitivi con quelli dei titoli di Stato. Gli investimenti di risparmi nelle banche, soprattutto con durata prestabilita, combattono i rischi di razionamento del credito in una fase in cui si è molto ridotta la liquidità nel mercato. E sono evidenti i rischi per il credito a imprese e famiglie che, in dieci anni di tassi a zero, spesso non avevano previsto i rapidi aumenti dei tassi e le riduzioni della liquidità. "Oggi la concorrenza fra le banche sta facendo gradualmente crescere i rendimenti anche sulla liquidità nei conti correnti (innanzitutto strumenti per incassi e pagamenti) che non è a durata prestabilita e non può garantire mutui pluriennali e stabili prestiti a imprese e famiglie. Stato, banche e operatori finanziari pubblici e privati – spiega ancora Patuelli – sono in piena concorrenza nella raccolta della liquidità con i tassi e le loro durate e i risparmiatori ottengono i migliori rendimenti negli investimenti in liquidità, vincolando i depositi a scadenze predefinite".
Dopo anni di ricapitalizzazioni e ristrutturazioni realizzate dagli azionisti e dalle banche con sacrifici e senso di responsabilità, assieme alle rappresentanze sindacali ed ai lavoratori, i rischi, anche internazionali, sono nuovamente cresciuti: e si affacciano all’orizzonte nuovi sintomi di deterioramento del credito che necessitano di ulteriori prudenziali accantonamenti per il rafforzamento anche prospettico della solidità patrimoniale delle banche, premessa di un’economia solida. "Le banche – conclude Patuelli – non hanno rendite di posizione e vengono da anni difficilissimi per crisi di imprese e del debito sovrano, recessioni, epidemie, catastrofi naturali, cui hanno fatto e fanno fronte con grandi aumenti di capitale, accantonamenti e ristrutturazioni sempre socialmente rispettose e realizzate con costruttivi accordi con le rappresentanze sindacali. Salvo nel caso di una sola banca nazionalizzata, le banche in Italia hanno dovuto farsi carico delle forzate risoluzioni e degli altri oneri delle crisi e dei salvataggi di banche concorrenti".