NEL 2019 È STATA VARATA la Strategia dell’Unione europea per la gioventù sino al 2027, con l’obiettivo di fornire un orientamento ai Paesi membri. La definizione di una strategia comune è il primo passo per provare a valorizzare il capitale sociale rappresentato dalle attuali nuove generazioni. I giovani sono alla base non solo dello sviluppo sostenibile ma anche della competitività dell’Unione Europea ora alle prese con la delicata transizione ecologica e digitale e con il riposizionamento forzato nel contesto globale multipolare. A complicare la sfida si è messa anche la pandemia che ha impattato in modo asimmetrico sulla popolazione del vecchio continente, con effetti sulla occupazione giovanile e sul benessere mentale di quest’ultima, messa a dura prova anche dal periodo di formazione in DAD.
Da allora numerosi sono stati i passi compiuti, da ultimo l’introduzione a livello europeo dello Youth
Test, cioè della valutazione dell’impatto generazionale di tutte le politiche, non solo di quelle direttamente rivolte ai giovani. In Italia, durante il precedente governo Draghi, sono state introdotte le prime linee guida grazie al Comitato per la valutazione generazionale delle politiche pubbliche (COVIGE) che ha innovato sul modello tedesco proponendo una vera e propria “bollinatura” o “marcatura” (in inglese labelling) che mira a identificare preliminarmente quelle misure che direttamente ed esclusivamente impattano sui giovani, quelle che potenzialmente potrebbero farlo e quelle che, al contrario, potrebbero avere effetti anti-generazionali, cioè, pregiudicare lo sviluppo dei giovani. Questi ultimi, non dimentichiamolo, causa calo demografico, rappresentano sempre più una sorta di minoranza silenziosa.
Le linee guida nazionali identificano quattro ambiti di possibile impatto: l’Educazione, con gli effetti sul livello di accesso e di efficacia dei percorsi di educazione, formazione e ricerca e sul grado di transizione scuola-università; il Lavoro: con gli effetti sul livello di accesso al lavoro e alle condizioni di sicurezza sociale e sul livello di auto-impiego o di creazione di impresa; l’Inclusione, con gli effetti sociali sui giovani, sulle famiglie e sul miglioramento della condizione abitativa; infine il Benessere con effetti sulla condizione psicologica e fisica. Il Comitato Economico e Sociale europeo (CESE) in un parere reso nel 2023 su richiesta della presidenza dell’Unione europea uscente, ha richiamato il modello italiano come buona pratica.
Dunque, l’Italia, partita in ritardo, ora si trova nella posizione di poter indicare una strada innovativa e più performante; una occasione da non sprecare e da porre al centro del dibattito della prossima tornata elettorale europea. I primi passi sembrano incoraggianti sia a livello nazionale, che regionale e locale. Nel corso del Consiglio dei ministri del 5 dicembre scorso, su istanza del Ministro per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa Casellati e del Ministro per la pubblica amministrazione Zangrillo, all’interno del DDL semplificazione normativa, si sono poste le basi per introdurre alle Camere la Valutazione di impatto generazionale delle leggi (VIG), mentre la Regione Emilia-Romagna per prima ha testato la bollinatura sugli investimenti regionali cofinanziati dai fondi di coesione europei.
Tuttavia, la prima vera e propria messa a terra del dispositivo è della Città di Parma che si candida a Capitale Europea dei Giovani 2027 e che, con il supporto della Luiss School of Government e della Fondazione Bruno Visentini, è il primo comune in Europa a introdurre concretamente la VIG sul proprio Documento Unico di Programmazione DUP), in pratica il piano triennale di impegno delle risorse municipali. Questa accelerazione e presa di consapevolezza è da accogliere con grande favore ma attenzione a non trasformare una straordinaria opportunità per il nostro paese (fanalino di coda per numero di NEET, numero di laureati occupati, numero di migranti all’estero ecc..) nell’ennesima occasione mancata, che rischia peraltro di essere l’ultima. Due sono le cose da evitare. La prima, che la VIG nostrana si trasformi nell’ennesimo orpello destinato ad alimentare la proverbiale lentezza nel dare attuazione agli intendimenti. In altre parole, a volere sottoporre tutti i provvedimenti a questa valutazione si rischia di rallentare tutti i processi legislativi. Per questo e consapevoli di questo, è essenziale che vi sia una preliminare identificazione delle misure sulle quali concentrare l’attenzione, seguendo la via tracciata in Europa dal CESE e in Italia dal Comune di Parma.
La seconda, che la valutazione di impatto sui giovani venga assorbita nella più generale valutazione sulla sostenibilità targata Agenda 2030 la quale ultima, giustamente, pone grande attenzione soprattutto alle future generazioni. In Italia l’attuazione e il monitoraggio di Agenda 2030 è già affidata alla Strategia Nazionale di Sviluppo Sostenibile (SNSvS) con un approccio corretto ma non sufficiente quando ci si cala nella realtà italiana e nei problemi sopra richiamati, che richiedono un intervento immediato sulla attuale fascia giovanile che stenta a raggiungere una vita autonoma, dovendo superare ostacoli sempre più alti. In conclusione, e riguardo alla prossima tornata elettorale europea di giugno, sarebbe auspicabile che tale tema venga posto al centro del dibattito anche nazionale, affinché il nuovo Parlamento europeo e il presidente della Commissione, che sarà espressione delle nuove forze rappresentate, continui sulla strada intrapresa e ponga attenzione all’impatto sui giovani delle future leggi.
*Senior Fellow Luiss School of Government
docente di Politiche dell’Unione europea
alla Luiss Guido Carli