Giovedì 7 Novembre 2024

La guerra traina la crescita russa. Per Putin il futuro è senza Occidente

VLADIMIR PUTIN arriva alle elezioni presidenziali di marzo – e inizierà il suo quinto mandato – più forte di un...

La guerra traina la crescita russa. Per Putin il futuro è senza Occidente

La guerra traina la crescita russa. Per Putin il futuro è senza Occidente

VLADIMIR PUTIN arriva alle elezioni presidenziali di marzo – e inizierà il suo quinto mandato – più forte di un anno fa. Il primo dato è che l’economia non solo può ancora sostenere la guerra – quantomeno nel breve-medio termine – ma che il Fondo Monetario Internazionale a gennaio ha rivisto le sue previsioni di crescita della Russia al rialzo stimandola al 2,6% invece che all’1,1% annunciato a ottobre. Il sito indipendente russo The Bell ha mostrato in alcuni grafici che l’economia russa è ormai un’economia di guerra e come, senza sorprese, sia la guerra al momento a trainare l’economia, trasformando in maniera profonda e duratura il paese. È previsto che nel 2024 la Russia spenderà il 6% del Pil nella difesa (contro il 2,7% nel 2021), equivalente a 10,7 trilioni di rubli (120 miliardi di dollari) rispetto ai 7,73 trilioni dell’anno precedente e al 40% del budget annuale. Si tratta di un record assoluto per la Russia post-sovietica, e ciò anche senza tenere conto di ulteriori enormi costi di guerra non contabilizzati come tali: da un lato la quota lievitata delle spese di stato secretate (vedi: intelligence e propaganda) e dall’altro spese che sono conseguenza diretta del conflitto, ma non rientrano sotto la voce difesa. Tra queste, le cure delle decine di migliaia di soldati feriti, considerate “spese sanitarie”, e la ricostruzione delle città ucraine sotto controllo russo distrutte dai bombardamenti, inserite sotto la voce “alloggi e servizi”.

Nonostante questi costi, la crescita è garantita dal picco della produzione industriale nella difesa. In parallelo, le vulnerabilità del sistema, attuali e in prospettiva, sono già evidenti: il settore dei beni di consumo e l’iniziativa privata sacrificati a vantaggio di una macchina statale mastodontica e centralizzata; un’inflazione che quest’anno ha superato il 7%; una crisi dell’occupazione, data dalla rapida riconversione delle fabbriche e in mancanza di manodopera (tra i tantissimi russi, molti altamente qualificati, che hanno lasciato il paese e le centinaia di migliaia di soldati mandati a combattere).

I dati economici ci danno indicazioni sulle forze e debolezze del regime attuale e servono a fare previsioni sul possibile andamento nella guerra nei prossimi mesi o anni. Per capire con che paese avremo a che fare, però, serve innanzitutto considerare – e con molta attenzione – la radicalità del progetto di trasformazione sociale e culturale che il Cremlino sta promuovendo, che va molto oltre considerazioni razionali costi-benefici, e per cui Putin (e probabilmente anche chi gli succederà) sono disposti a sacrificare il benessere e la vita stessa dei cittadini per gli anni a venire.

In un editoriale della Rossijskaja Gazeta sulla forma che dovrà prendere “la svolta verso est della Russia” e l’allontanamento per i prossimi secoli – non decenni – dall’Occidente, l’intellettuale russo Sergej Karaganov l’ha detto esplicitamente: la strategia non dovrà partire “da aridi calcoli economici”, ma dal “ritorno spirituale e culturale della magnifica storia mozzafiato dell’esplorazione della Russia asiatica al centro dell’identità russa”. Karaganov parla di “siberizzazione del paese”, riferendosi non solo alla necessità di incrementare gli investimenti economici in Siberia, con la costruzione di una “terza capitale” a est dopo Mosca e San Pietroburgo, ma anche a quella di recuperare ed esaltare, nei programmi scolastici e universitari, l’eredità mongola, le relazioni storiche con la Cina e l’India, lo studio approfondito di pensatori asiatici e arabi come Avicenna e Confucio al fianco, se non al posto, di Machiavelli, Goethe, Dante.

In altre parole, davanti ai nostri occhi e in pochi mesi, il governo russo sta riscrivendo la storia del paese degli ultimi 400 anni, da quando Pietro il Grande alla fine del Seicento decise - anche in quel caso con un progetto trasformativo radicale e violento - che l’impero aveva bisogno dell’Europa per essere grande, o quantomeno aspirare a esserne parte. Se la rivoluzione nel 1917 aveva già chiuso per molti versi le porte dell’Europa occidentale alla Russia, la competizione della Guerra Fredda era basata sulla rivalità con l’Occidente; la corsa agli armamenti era finalizzata a superare l’Occidente. Lo sguardo era sempre, pur nel conflitto permanente, rivolto verso ovest e influenzato da esso.

Sebbene l’obiettivo finale di Putin – come è emerso chiaramente nell’ultima intervista con il giornalista Tucker Carlson (nella foto sopra) – sia soprattutto mostrare agli Stati Uniti che hanno sbagliato a non aver, dal suo punto di vista, considerato la Russia e i suoi interessi strategici imponendo un ordine unipolare a loro vantaggio negli ultimi tre decenni, la scommessa attuale dell’élite russa è senza precedenti: poter far a meno dell’Occidente tout court, e diventare guida civilizzatrice della “maggioranza globale” – come la chiama il presidente russo – dall’Asia, all’Africa e all’America Latina. Anche se il progetto non dovesse realizzarsi, anche se il regime putiniano finisse prima del previsto e inaspettatamente, non basta liquidare queste dichiarazioni affermando che si tratta di farneticazioni di un gruppo di radicali al Cremlino.

Dall’inizio della guerra, il governo russo ha speso decine di miliardi di rubli solo in educazione patriottica, riscritto o censurato i libri di storia e i romanzi. Le università russe, senza più contatti con l’Occidente, fanno scambi e firmano accordi con la Cina e con l’India. Con le sue inefficienze, un autoritarismo che ormai ricorda molto da vicino lo stalinismo, le sanzioni e la guerra che stanno già intaccando in maniera strutturale le fondamenta di un’economia di pace futura, la Russia è qui per restare, e non è quella di due anni fa.

* Docente di Storia e politica della Russia

alla Luiss Guido Carli