LE REAZIONI dell’Unione europea e dei suoi Stati membri alla pandemia hanno rappresentato una vera e propria cesura nel cammino dell’integrazione europea. Con il Next Generation Eu e i Piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr), in particolare, tutti gli Stati membri si sono auto-vincolati al rispetto di un rigido cronoprogramma di obiettivi, riforme e investimenti, al realizzarsi dei quali è subordinato il versamento delle risorse europee, per la prima volta prese a debito comune. Si è creato in tal modo un nuovo e complesso procedimento, all’interno del quale operano le istituzioni italiane e quelle europee, attraverso il quale gli Stati devono dimostrare di aver fatto quanto prescritto nel Pnrr e le istituzioni europee devono controllare che sia effettivamente così. Questo dialogo costante sta determinando non solo un formidabile impatto sulla forma di governo nazionale, ma anche un intreccio sempre più stretto tra quanto avviene in ambito europeo e quanto avviene a livello nazionale.
I recenti lavori parlamentari lo confermano: il 23 aprile scorso, ad esempio, il parlamento ha convertito il decreto-legge n. 19 del 2024, cioè l’ultimo degli ormai numerosi provvedimenti dedicati all’attuazione del Pnrr. Il giorno successivo, Camera e Senato hanno approvato le risoluzioni sul Documento di Economia e Finanza (DEF) 2024, che è stato predisposto tenendo conto della nuova governance economica europea, ossia quel complesso sistema di istituzioni e procedure per conseguire gli obiettivi dell’Unione in ambito economico. Governance economica che è stata da poco profondamente rimodellata, attraverso la riforma del cosiddetto “Patto di stabilità e crescita”, cioè quell’insieme di regole che garantiscono la disciplina di bilancio dei Paesi Ue. Decreto-legge per l’attuazione del Pnrr, Def e riforma del Patto di stabilità sono quindi elementi concatenati l’uno all’altro, in quanto il Pnrr fa ormai parte integrante del ciclo di bilancio sul quale si interviene con la riforma del Patto di stabilità. Importanti riforme europee, dunque, e impatti sull’attività di governo e parlamento. È proprio in questa duplice ottica che, nel recente studio dal titolo “Piano nazionale di ripresa e resilienza e forma di governo tra Italia e Unione europea” (Giappichelli, 2024), si analizza il Pnrr: da una parte, come sviluppo della governance economica dell’Unione; dall’altra, nel quadro dell’evoluzione del sistema costituzionale e della forma di governo italiana.
Quanto al versante europeo, il Next Generation EU deve essere considerato come uno sviluppo decisivo del percorso che è partito col Trattato di Maastricht nel 1992 e che è proseguito negli ultimi trent’anni. Se inizialmente, infatti, si era posta attenzione soprattutto ai vincoli quantitativi alla finanza pubblica (cioè i livelli di deficit e debito pubblico), negli anni successivi si è cercato di integrare quelle regole con un sempre maggiore coordinamento delle politiche economiche, principalmente attraverso le riforme da attuare in ogni Stato per aumentare la crescita e rendere sostenibili i debiti pubblici nazionali. Il Pnrr è l’ultima fase di tale percorso, poiché con esso si legano le erogazioni agli investimenti e, soprattutto, alle riforme. Questo nuovo “metodo di governo” è stato ripreso proprio nella riforma del Patto di stabilità, con i nuovi “Piani strutturali di bilancio a medio termine”, con i quali gli Stati membri definiranno i loro obiettivi di bilancio, le misure per affrontare gli squilibri macroeconomici e le riforme e gli investimenti prioritari. Tuttavia, a differenza di quanto avviene con i Pnrr, le riforme contenute in questi nuovi Piani non saranno sorrette da risorse europee e questo fattore rischia di complicare la funzionalità del nuovo Patto di stabilità.
Sul versante interno, il Pnrr ha creato effetti rilevanti sulla forma di governo nazionale e sul sistema delle fonti del diritto. Da una parte, vi è stato un indebolimento della capacità dell’esecutivo di decidere in piena autonomia il proprio programma, in quanto parzialmente sovrapponibile con il Pnrr, da attuare nell’ambito di un dialogo costante con la Commissione europea e senza poter tornare indietro rispetto alle riforme già approvate. Dall’altra parte, c’è stato un ulteriore rafforzamento del governo sul parlamento, del presidente del Consiglio sugli altri ministri e una ridefinizione dei rapporti all’interno del Governo stesso. Quest’ultimo, peraltro, è ormai il vero padrone del procedimento legislativo, non solo perché fa largo ricorso a una serie di prassi “distorsive” in Parlamento, ma anche perché i decreti-legge sono ormai il mezzo principale per l’attuazione del Pnrr e del programma di governo. In tale quadro, il parlamento non può che tentare di recuperare un suo spazio attraverso gli emendamenti al decreto-legge stesso, facendo aumentare l’eterogeneità del contenuto.
Difficile trovare soluzioni semplici alle torsioni della forma di governo e del procedimento legislativo: sembra impellente quantomeno una riapertura del dibattito sulle riforme dell’iter legis e sul rafforzamento dei poteri di indirizzo e controllo del parlamento. Allo stesso tempo, qualche riflessione potrebbe farsi sulla questione della stabilità dei governi. Del resto, la proposta legge di revisione costituzionale per l’elezione diretta del presidente del Consiglio, il cui esame presso la Commissione affari costituzionali del Senato si è concluso lo scorso 24 aprile, ha tra i suoi obiettivi dichiarati – al di là di ogni giudizio di merito – quello di offrire soluzione proprio all’endemica instabilità dei Governi italiani.
* Lecturer in Diritto pubblico presso la Luiss School of Government e autore dello studio “Piano nazionale di ripresa e resilienza e forma di governo tra Italia e Unione europea”