"SE SIAMO RAZIONALI nell’imposizione dei dazi la Cina risponderà in maniera razionale e non dobbiamo temere ripercussioni esagerate nei nostri confronti. Nessuno, neanche la Cina, ha interesse a mettere a rischio il mondo del commercio". Il Cavaliere del lavoro Mario Boselli (in foto) – 83 anni, presidente di Iccf (Italy China Council Foundation), presidente onorario della Camera nazionale della moda italiana e imprenditore nel campo del tessile e della moda – analizza la situazione dei rapporti tra Italia e Cina, senza trascurare la questione dei dazi che tiene banco, forte di una conoscenza del Paese maturata in oltre 170 viaggi in Cina.
Dottor Boselli, come valuta la questione dei dazi, che oggi tiene banco?
"Credo che la posizione della Ue sia corretta nel senso di mettere dazi di entità commisurata a quello che è l’aiuto di Stato che Pechino riconosce alle sue imprese che fabbricano auto elettriche. A questo aiuto di Stato può far da contrappeso un dazio, ma non si può andare oltre. Se ci limitiamo a fare questo, la risposta cinese sarà coerente e razionale. In questo senso, non sono preoccupato. Del resto, se loro, nel rispetto delle regole, sono bravi a produrre ed esportare lo dobbiamo accettare".
Cosa la preoccupa invece?
"Vedo che la Cina non è tornata all’apertura dell’epoca pre-Covid e il processo di riapertura è lento. Un buon segnale però c’è ed è rappresentato dal fatto che dal dicembre scorso è stata eliminata la necessità del visto per viaggi che durino al massimo 15 giorni. Un periodo sufficiente per un viaggio d’affari ma anche per il turismo. È un buon segnale sulla via della normalizzazione".
Lei quante volte è andato in Cina?
"Ho fatto più di 170 viaggi in Cina, soprattutto per la seta. La storia della mia famiglia è legata con quella della seta che abbiamo iniziato a produrre nel 1548 con la trattura a Garbagnate Monastero, nel Lecchese. Il mio primo viaggio in Cina, passando da Hong Kong, è stato nel 1978, all’inizio dell’epoca di Deng Xiaoping con la grande apertura della Cina al mondo. Negli anni successivi, in particolare nel 1984, quando ho trascorso un lungo periodo nel Paese ho potuto vedere da vicino il positivo effetto delle riforme volute da Deng Xiaoping. La Cina di oggi è evidentemente ben diversa, moderna ed evoluta, cosa che ho potuto constare anche negli ultimi sei mesi essendoci stato due volte, grazie anche alla ripresa dei voli diretti dall’Italia verso Pechino".
Come sono i rapporti Italia-Cina in questo momento?
"A livello di relazioni di lavoro fra imprese i rapporti sono sempre stati buoni e proficui nel reciproco interesse. Anche i rapporti politici sono buoni, cosa non scontata dopo il mancato rinnovo dell’accordo della Belt & Road Initiative, e verranno coronati dalla visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella in previsione per fine novembre. È stata opportuna e proficua la visita della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, e prima di lei, quella del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso. La politica italiana ha fatto bene a riprendere il dialogo e a focalizzare i nostri rapporti non più sulle grandi infrastrutture ma sulle relazioni commerciali che riguardano la gran parte delle imprese italiane che producono beni interessanti per l’export in Cina. Il livello dell’interscambio, peraltro, pur restando a favore della Cina, si fa di anno in anno sempre meno negativo per l’Italia, e questo è un bene".
E l’idea di produrre auto cinesi in Italia?
"Mi sembra un’ottima iniziativa e bene ha fatto il ministro Urso a insistere su questa strada. Un modo anche per rispondere allo scarso interesse di Stellantis verso l’Italia. Con la Cina, a parte il settore dell’auto, possiamo favorire tante operazioni ’minori’ ma importanti nel campo della chimica fine, della medicina, della meccatronica".
A cosa guardano i cinesi quando approcciano l’Italia?
"I cinesi sono interessati a partecipazioni di tipo strategico in attività di ricerca e sviluppo e tecnologiche. Vogliono alzare il livello di qualità dei loro prodotti anche perché Xi Jinping è stato chiaro: “la Cina deve fare più qualità che quantità“. Poi, a livello del consumatore finale, la Cina guarda sempre allo stile di vita italiano che piace e seduce sempre molto. Siamo alle famose tre effe, fashion, food, furniture… Il Made in Italy è da sempre sinonimo di qualità, eleganza e innovazione nel mondo della moda, del design e dell’agroalimentare. Uno dei fattori più rilevanti è la percezione del valore aggiunto che ha il prodotto italiano, legato alla storia, alla tradizione, alla cultura, all’artigianalità, alla sostenibilità o alla personalizzazione. Il comparto moda però non brilla più come un tempo: vi è un rallentamento dei consumi di prodotti di alta gamma e del lusso, sia di brand italiani che francesi. Questo è un problema che riguarda i grandi brand che comunque vivranno una stagione di minori profitti senza conseguenze maggiori. Il vero problema è invece, per le aziende della subfornitura delle suddette case di moda".
Da che cosa dipende?
"Dal fatto che il portafoglio del cinese ’ricco’, quello più interessato ai prodotti italiani, è indirettamente colpito dalla crisi immobiliare, e non solo, in quanto molti titoli che erano stati comprati hanno perso di valore e fanno sentire il consumatore più preoccupato per il futuro e quindi più prudente negli acquisti. Inoltre dal 2005 il motto del governo è stato quello di ’comprare cinese’ e anche questo non ci sta favorendo".