Martedì 30 Aprile 2024

Export e ricerca superano la crisi La chimica 4.0 Made in Italy stoppa la fuga dei cervelli

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MILANO

GLI ADDETTI dedicati alla ricerca e sviluppo sono aumentati del 70% negli ultimi 10 anni. Così un settore storico dell’industria italiana come quello chimico prova a correre ancora nonostante il generale calo di competitività europeo e il costo delle materie prime più alto che altrove. Un settore che negli ultimi anni ha risposto al crollo della domanda interna volando nell’export, voce che adesso rappresenta oltre il 50% della produzione. Certo, l’incidenza della voce ‘Ricerca e Sviluppo’ sui bilanci risulta più bassa in Italia rispetto a Paesi come la Germania, ma la dimensione aziendale e la forte presenza di Pmi in questo caso rappresenta un limite. L’impegno su questo fronte, comunque, è in crescita e rappresenta l’unica soluzione per le imprese italiane per sfuggire ad una concorrenza appiattita sui fattori di costo.

«SI PARLA tanto di fuga dei cervelli, ma la chimica mostra chiaramente che i giovani ricercatori hanno eccellenti opportunità per un lavoro appassionante nelle nostre imprese – spiega Paolo Lamberti, presidente di Federchimica, durante l’assemblea annuale – Ci sono, a differenza di altri momenti storici, le condizioni per innescare un circolo virtuoso, non più limitato ad alcune grandi imprese ma che coinvolga tutta l’industria». Tra l’altro, secondo una recente indagine del Centro studi di Confindustria la chimica è, dietro al comparto delle macchine e alla meccanica strumentale, il settore che ha usato di più l’iperammortamento di Industria 4.0 con 380 milioni di investimenti da parte di 11 imprese. «Senza un intervento deciso di Federchimica queste risorse non ci sarebbero state e questi investimenti – puntualizza Lamberti – perché non era erano previsti, nella lista dei beni agevolabili, gli impianti per l’industria di processo, impianti sempre più ad alta produttività e ad alta flessibilità che potranno essere un modello di riferimento per la fabbrica del futuro».

IL SETTORE in Italia parte da una forte e crescente specializzazione nella “chimica a valle”, in particolare quella delle specialità: rappresenta il 57% della produzione contro il 47% della media europea. Se la chimica di base è concentrata nelle mani di pochi grandi produttori, quella delle specialità ha come riferimenti principali gli ausiliari e gli additivi per l’industria, le vernici e gli adesivi e la chimica destinata al consumo (cosmetica e detergenza), cioè quei settori dove le economie di scala sono meno rilevanti e conta la capacità di formulare prodotti che rispondono ad esigenze industriali specifiche.

TRADUCENDO il tutto in numeri: con oltre 2.800 imprese e circa 110mila addetti, il settore realizza in Italia un valore della produzione pari a 56 miliardi di euro (di cui Federchimica rappresenta il 90%) ed è il terzo produttore europeo e l’undicesimo al mondo. La speranza, adesso, è superare la fase di stagnazione nella produzione registrata nei primi 4 mesi del 2019, una crescita zero da imputare al calo delle richieste da parte dei clienti industriali, in particolare nell’automotive. Un dato da inserire in un contesto più ampio: negli ultimi 20 anni – come rileva anche il rapporto presentato durante l’assemblea di Federchimica – il valore della produzione in Europa non ha mai smesso di crescere. Nel frattempo, però, il peso in termini di quantità scende continuamente: la quota di vendite europee su quella mondiale è diminuita dal 32 a 16%. Questo dato non si spiega solo con la crescita più lenta che altrove dei mercati locali, ma anche l’indebolimento della chimica di base europea. E ciò rappresenta un freno anche per l’innovazione: la filiera è strettamente interconnessa e la chimica di base sviluppa le sostanze che quella specialistica renderà disponibili per tutti i settori industriali. La competitività europea, inoltre, è sostanzialmente penalizzata dal costo dell’energia e delle materie prime.

«SULLE DECISIONI di investimento, oltre al divario del costo dell’energia – si legge nel rapporto di Federchimica ‘L’industria chimica in cifre’ – in Europa pesa un quadro normativo che genera extra-costi asimmetrici rispetto ai concorrenti senza peraltro produrre benefici sostanziali per l’ambiente. Indicativo di questa scarsa attenzione alla competitività industriale è l’ambizioso target europeo di riduzione del 40% delle emissioni di gas serra entro il 2030 a fronte di una quota sulle emissioni mondiali già oggi pari al 10%».

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