I dipendenti di Amazon non vogliono tornare in ufficio dopo lo stop allo smart working

Forti tensioni per la decisione dei vertici di far rientrare tutti in presenza

La recente protesta per il ritorno 'in presenza' dei dipendenti di Amazon riporta in auge la domanda delle cento pistole: new normal o vecchia vita? Ora che della pandemia abbiamo iniziato a parlare al passato, tra i nodi che stanno venendo al pettine con maggiore insistenza c'è infatti la contrapposizione tra chi intende rendere sistemiche alcune risposte congiunturali adottate durante l'emergenza e chi, di contro, ritiene che il recupero della 'normalità' imponga un sostanziale ritorno al passato.

Amazon
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Smart working e ufficio

E il fronte dello 'smart working', parso a molti una manna dal cielo nei tempi più duri, in questo senso è uno dei più caldi. Con diverse grandi aziende del mondo (da Disney a Starbucks passando ora per Amazon) che adesso spingono per un ritorno in presenza dei dipendenti. E conquesti ultimi che, per usare un eufemismo, nicchiano.

Sistema misto

La creatura di Jeff Bezos, guidata sul campo dal ceo Andy Jassy, ha infatti finalmente comunicato ai lavoratori il nuovo piano per il parziale ritorno in presenza, dopo un lungo periodo di indecisione e di tira e molla trascorso tra richiami in ufficio e rinvii dovuti a recrudescenze del virus. Facendo così prevalere una linea d'azione che in realtà era già stata dettata a metà 2021, nel pieno della tempesta, quando il colosso dell'e-commerce aveva messo nero su bianco come dal 1° maggio 2023 si sarebbe lavorato “per tre giorni dall'ufficio e per due giorni da casa”. Con l'aggiunta, per certi versi minacciosa, dell'avverbio “almeno”.

Uffici migliori

Questa forma di lavoro ibrido è stata decisa dal ceo Andy Jassy e prevede un periodo di "ambientamento" durante il quale saranno testati i nuovi equilibri che andranno inevitabilmente a delinearsi all'interno di ciascun team. “Sappiamo che all'inizio non sarà perfetto – è stata l'ammissione di Jassy -, ma l'esperienza dell'ufficio migliorerà costantemente nei prossimi mesi (e anni), man mano che i nostri team immobiliari e delle facility correggeranno gli errori e, infine, continueranno ad evolversi nel modo in cui vogliamo che i nostri uffici vengano organizzati per catturare i nuovi modi in cui vogliamo lavorare”.

Un po' fumoso come statement, va detto, mentre più chiare sembrano le motivazioni addette per il rilancio del lavoro in presenza: “più rapido e proficuo confronto e apprendimento con e dai colleghi”, “migliore collaborazione interna”, “maggiore spirito di unione dei team di lavoro”.

La delusione dei nuovi assunti

Tutto bene, anzi no, perché alle proteste scatenate la scorsa estate dai dipendenti Apple per un'analoga decisione di Tim Cook ora si sono aggiunte le 'barricate amazoniane'. Perché, come riportato dal Washington Post (presieduto peraltro dallo stesso Bezos), “molti impiegati sono irati per la richiesta, specialmente quelli entrati in azienda con l'aspettativa che il lavoro da remoto sarebbe stato mantenuto”. E per molti intendiamo “circa 21mila”, ora impegnati in una levata di scudi interna “per chiedere più smart working e per esprimere preoccupazioni riguardo la nuova policy aziendale”. Anche perché, e qui si ripropone la questione proverbiale dell'unilateralismo decisionale tipico di Amazon e dei suoi 'cugini' colossi d'Oltreoceano, il mantra più ripetuto dai dipendenti è che “la cosa peggiore è che il nuovo piano era già in funzione ancora prima che lo sapessimo”.

 

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